G102T19 Treviso - S.Martino di Castrozza
C’è un tratto di ferocia nel cielo sereno di San Martino: l’assenza di nuvole fa apparire più appuntiti i coltelli di pietra delle Pale, come se un arrotino particolarmente zelante avesse trascorso tutta la notte o tutto l’inverno ad affilare per bene le montagne, a renderle più ispide – cioè più belle – prima del grande evento di primavera. Il mezzogiorno fa scintillare la neve e arrossire le rocce alla base della Cima dei Bureloni, la luce intensa dona loro una venatura di sangue che sembrerebbe preludere a una resa dei conti. D’altra parte è questo il motivo che da più di ottant’anni spinge il ciclismo e i suoi appassionati su queste montagne: le Dolomiti hanno un intimo risvolto di violenza; la spietatezza della loro antica natura di rocce deformate - sprofondate e riemerse, pressate ed erose – è considerata riferimento per la crudeltà richiesta ai contendenti del Giro d’Italia nei suoi giorni decisivi.
È con la speranza di un attacco tagliente quanto il Cimon della Pala che uomini e donne salgono quassù, e ogni anno attendono il Giro come Giovanni Drogo attendeva i Tartari: “Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l’orizzonte con sorrisi d’intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e tenere desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo”.
I fuggitivi della diciannovesima tappa arrivano a San Martino sparpagliati: due salti della catena di Vendrame e sette scatti di Chaves hanno ridotto il gruppetto a grani di un rosario smembrato. Chaves vince e non c’è traccia di crudeltà nella sua impresa. Tutto di Chaves è in contrasto con i contorni della cornice in cui è tornato a vincere. Chaves parla piano e risponde con gentilezza, abbraccia e viene sommerso di baci, smussa col suo sorriso gli angoli ruvidi della sua carriera e della sua esistenza – talvolta anche delle montagne su cui pedala. Confessa che qualche mese fa non sapeva se sarebbe mai tornato quello di prima: “Ho avuto paura, sono umano”.
Tutti vogliono bene a Chaves, magari perché – prova a spiegare – “sono quello che sono e parlo con la verità”. O forse perché Esteban ha qualcosa di speciale, come dicono i suoi, e allora le sue vittorie più che Buzzati richiamano García Márquez: è realismo magico, è ricordarsi ogni volta del pomeriggio in cui si conobbe il ghiaccio. Chaves ha quasi trent’anni ma – confessa – si sente ancora il bambino che sognava il Giro guardandolo alla tv sul divano con suo padre. Jairo Chaves abbraccia sua moglie Carolina, che ha appena acciuffato il bouquet lanciatole dal podio da suo figlio. Il talento di Esteban – dice Jairo con le lacrime agli occhi – è come le stelle che si accendono in mezzo alle Pale di San Martino col far della sera: brillerà per sempre. (LP)
PS - Di questo e altro parleremo tra un po' nel nostro podcast notturno "Giroglifici - un programma tutto da decifrare". Non sappiamo ancora quando, ma se ci seguite a un certo punto vi manderemo tutti i link.
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