[Liegi 2021] Farsi beffe dell'età
La Liegi-Bastogne-Liegi 2021 sta tutta - o quasi: ci perdoneranno i fuggitivi e quelli della Ineos, che ne hanno animato tutta la parte finale alternandosi negli attacchi ma portando a casa la miseria di un 11° posto, con Kwiatkowski - sta tutta dicevamo nell’immagine del gruppetto dei migliori all’imbocco dell’ultima curva. In testa Alejandro Valverde, 41 anni oggi.
Sulla sua destra Michael Woods detto Rusty, 34 anni compiuti a ottobre. Nella parte più esterna del curvone Julian Alaphilippe, 29 anni tra un mese e mezzo. A chiudere, una manciata di metri dietro Valverde, David Gaudu, 24 anni, e Tadej Pogačar, anni 22 e sette mesi. In rigoroso ordine di anzianità: davanti a tutti il più vecchio, che è anche il festeggiato. Ultimo il più giovane, talmente giovane che del primo potrebbe essere più figlio che fratello minore.
Quasi un ventennio di differenza. In settimana, dopo essere arrivato sul podio della Freccia Vallone, Valverde ha dichiarato di sentirsi ringiovanito. “Come se avessi trent’anni”, ha detto. Per mettere le cose un po' meglio in prospettiva diciamo che Pogačar non compirà trent’anni, l’età che Valverde equipara alla gioventù, prima del 2028.
Per chiarire ancora meglio, aggiungiamo che quando Valverde corse la sua prima Liegi (anno del Signore 2005), Pogačar aveva sette anni. Giochicchiava ancora a calcio, all’epoca. La bici l’avrebbe conosciuta un anno dopo, per imitazione: suo fratello Tilen correva nel Rog Cycling Club di Lubiana e lui non voleva essere da meno.
Lo stesso anno in cui Tadej cominciò a pedalare - talmente minuto che il Club non possedeva una bici della sua misura - Valverde tornò per la seconda volta alla Liegi, vincendola. Nel decennio successivo l’ha vinta altre tre volte (l’ultima nel 2017, due stagioni prima che Pogačar arrivasse al professionismo), circostanza per la quale si può ragionevolmente supporre che sapesse benissimo, questo pomeriggio, che la prima posizione lasciatagli dagli avversari all’ingresso del rettilineo finale non era un omaggio, il rispetto che si rende ai più grandi o ai festeggiati: era il tentativo - riuscito - di batterlo con una delle armi più oliate del suo stesso arsenale, la scaltrezza.
Pogačar non va in bici da molto, ma ci va fortissimo (ricorderete che ha vinto il Tour de France alla sua prima partecipazione) e con una padronanza tattica a volte persino più spaventosa della sua già spaventosa consistenza atletica. Gestisce le energie meglio di tanti veterani, calibra gli sforzi alla perfezione, sa scegliere il posizionamento ideale in una volata ristretta.
Dopo aver strappato la maglia gialla a Roglič esaltandosi nella di lui specialità (al Tour 2020) e aver quasi annullato un a sua volta incredibile attacco da lontano di Van der Poel (alla Tirreno-Adriatico 2021), oggi ha preso le misure niente meno che al campione del mondo, Julian Alaphilippe. Altro che cortesie anagrafiche: Pogačar si fa beffe dell'età al punto che ancora una volta soltanto un paio di statistiche e qualche nome possono soccorrerci nel tracciare la cornice delle sue imprese, forse.
Diciamo allora, a titolo di esempio, che si tratta del più giovane vincitore della Liegi-Bastogne-Liegi dal 1977, e il primo campione in carica del Tour a imporsi nella Doyenne dopo Hinault nel 1980 (prima di loro c’erano riusciti soltanto Kubler e Merckx).
Pogačar riduce le carte d’identità a un particolare superfluo, un dettaglio di poco conto. La stessa cosa che, all’altro estremo dello spettro anagrafico, fa Valverde. Tornato ai livelli del 2018 (quando, giovincello, si laureò campione del mondo), le Doyen ha dichiarato che potrebbe riconsiderare la decisione di ritirarsi al termine di questa stagione. Vorrebbe chiudere, riferisce El País, in un anno normale, con i tifosi a bordo strada: “Per godermi un altro po’ il pubblico, e lasciare che il pubblico si goda un altro po’ me”.
Testo: Leonardo Piccione
Foto: A. Vialatte / ASO