Borraccia, strumento di conquista

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

Un estratto che parla di borracce e Marcus Burghardt, da Acqua passata. Vita, sorte e miracoli delle borracce nel ciclismo (People, 2020). Maggiori info a questo link.

 

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Il ciclismo invade i paesi in pieno giorno. Per non dare troppo nell’occhio, all’inizio se ne sta alla larga dal centro: prende posto nei parcheggi dei campi sportivi, sui lungomari, all’ombra dei viali alberati. Quasi s’imbosca.

La partenza della corsa – quella ufficiale, con il palco, gli speaker e i festoni – è fissata qualche centinaio di metri più in là, nel cuore del paese, dove gran parte del pubblico inganna l’attesa aggirandosi tra gli stand degli sponsor. Ma è a distanza di sicurezza dai luoghi che contano, che il ciclismo ordisce la sua pacifica presa delle città.

I dettagli del piano variano di località in località, di giorno in giorno, ma le prime, fondamentali manovre sono sempre le stesse: l’arrivo e la sistemazione dei pullman delle squadre. Uno dopo l’altro, ventidue pachidermi motorizzati si acquattano nello spazio che è stato loro assegnato dall’organizzazione, formando un serpentone lungo e variopinto.

Sono arrivati i corridori. Stanno lì dentro, ancora mezzi assonnati, nascosti dai finestrini opachi di queste specie di efficientissimi spogliatoi mobili. Non scenderanno subito. Tocca ai meccanici, prima, i quali prendono immediatamente ad armeggiare sulle biciclette, adeguandole alle esigenze del rispettivo utilizzatore. Poi è la volta di massaggiatori, direttori sportivi e addetti stampa. Ognuno ha una missione da portare a termine prima che tutto cominci.

Qualcuno allunga una transenna mobile intorno allo spazio antistante il bus, delimitando l’area riservata ad atleti e addetti ai lavori. Non è una vera separazione, non ci sono mai vere separazioni nel ciclismo. Qualche paletto leggero e una fascia elastica non troppo spessa: è tutto qui il confine tra i corridori e gli spettatori, tra i protagonisti dell’evento e i curiosi disertori delle tribunette del centro città.

In questo spazio ibrido, quest’istmo che non gode più della riservatezza del pullman ma che non è ancora soggetto all’esposizione della corsa, i ciclisti si palesano alla spicciolata. Alcuni di essi appaiono presto: senza divisa da gara, talvolta in ciabatte, scendono a salutare amici e parenti, o a rispondere alle domande di quelli come noi, che fanno loro un cenno con la mano e poi chiedono: «Ciao, come stai oggi?».

I capitani, loro tendono a rimanere al coperto il più a lungo possibile, abbandonando bus e concentrazione solo quando è strettamente necessario. Lasciano ai luogotenenti la gestione delle pubbliche relazioni: sono i gregari i grandi animatori della zona franca davanti ai bus delle squadre. Sono quelli come Marcus Burghardt le avanguardie che il ciclismo manda alla conquista dei luoghi che attraversa – e dei loro abitanti.

Tedesco, classe 1983, Burghardt è uno dei corridori più esperti del gruppo. Con quella del 2019, ha portato a termine undici edizioni del Tour de France. Ne ha viste e fatte tante, in questi anni: ha vinto una tappa (nel 2008) e un Tour (come compagno di squadra di Cadel Evans, nel 2011); è stato per sei edizioni gregario della bmc, e da tre lo è della Bora-Hansgrohe, che lo considera “capitano di strada”. Ma Burghardt è più di tutto questo.

Il 30 giugno 2012, giorno del suo ventinovesimo compleanno e dell’affollato cronoprologo di Liegi, al momento della partenza mostrò alle telecamere un sottomaglia con una scritta rossa: «Thanks for coming to my birthday». Nel 2018, sempre al Tour, attaccò tutto solo nel bel mezzo di una tappa di pianura al sol scopo di fermarsi poco più avanti ad applaudire i colleghi del gruppo al loro passaggio, come fosse un tifoso qualsiasi.

In carriera ha firmato centinaia di autografi e distribuito un’infinità di gadget e, in un video di qualche anno fa, lo si vede donare a un ragazzino a bordo strada un intero sacchetto del rifornimento. Ma, a suo dire, mai gli era capitata una cosa più emozionante di quella che gli è successa durante il Tour de France 2019, prima della partenza della 4a tappa, a Reims.

Quel giorno, durante la consueta consegna di gadget davanti al bus della Bora – operazione della quale è cerimoniere indiscusso – Burghardt aveva regalato una borraccia e un cappellino a un bambino particolarmente affettuoso. Colto da irrefrenabile entusiasmo, o da un moto di gratitudine, il piccolo tifoso gli si era gettato al collo, un marmocchio con occhi vispi e capelli a caschetto stretto al petto arioso del corazziere che è il passista sassone.

«Era così appassionato! Non smetteva più di abbracciarmi» ha scritto Burghardt qualche giorno dopo nel post su Instagram con il quale chiedeva ai suoi followers di dargli una mano a mettersi in contatto col bimbo di Reims. «Ho bisogno del vostro aiuto! Per favore aiutatemi a trovare questo ragazzino. Vorrei mandargli un regalo speciale.»

Due giorni dopo, la mamma del bambino si è messa in contatto con L’Union, uno dei quotidiani locali che avevano rilanciato la ricerca di Burghardt. Ha raccontato di chiamarsi Nathalie, di essersi appassionata al ciclismo grazie a suo padre e di essere andata in centro a Reims, il 9 luglio, per far scoprire il Tour de France ai suoi figli.

Ha spiegato che il più piccolo – il “ricercato” – si chiama Sullyvane, ha 7 anni e dal giorno dell’incontro con Burghardt è andato costantemente in giro col cappellino della Bora in testa, e ogni volta che in tv c’era il Tour chiedeva: «Dov’è Marcus?». Quando ha saputo che il suo idolo lo cercava, ha risposto: «Anch’io voglio rivedere Marcus! Voglio bene a Marcus!».

Il collaboratore de L’Union Alexandre Delfau ha prontamente inoltrato il messaggio al corridore, che ha ringraziato tutti per la collaborazione e ha preparato un bel pacco per Sullyvane. Ci ha messo dentro una divisa extra-small della Bora, un poster della squadra, una foto autografata da Peter Sagan e i dorsali coi numeri di gara di tutti i suoi compagni di squadra, anch’essi autografati.

La mattina dopo il tutto era sulla via di Reims, una missiva inviata da Marcus Burghardt per conto del ciclismo a un appassionato nuovo, felice, fresco di conquista.

 

di Leonardo Piccione

 

 

 

 

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