Il racconto che cambia - una riflessione su ciclismo e televisione
Amo il football americano; da qualche anno è diventato il mio piacere segreto delle notti d'inverno. Se i pomeriggi sono affidati al ciclocross, con la trepidazione assoluta che solo il ciclismo riesce a darmi (ancor più nella sua versione campestre, la più spettacolare), le serate appresso alla palla ovale sono un semplice passatempo, un gusto di piacere ed esplorazione.
Mi sono spesso chiesto perché mi piaccia il football, un mondo così diverso dal nostro sport, e la risposta che mi sono sempre dato è che si tratta di una questione di tempi. Le partite di football, proprio come le corse in bicicletta, sono lunghissime. I momenti morti prendono più della metà del tempo di una diretta, proprio come accade con una gara di ciclismo.
Ma i tempi morti non sono mai morti, sono semplicemente momenti che si possono dedicare ad altro, differenti frazioni di quel variegato insieme di attimi che costituisce la vita. Durante le pause si può alzarsi, leggere, cucinare, andare in bagno, spazzare il pavimento, studiare, fare una telefonata, stapparne un'altra, semplicemente riflettere... tutto è legittimo quando siamo padroni del nostro tempo.
Certo, per chi non è avvezzo ai tempi lunghi, tutto ciò può riassumersi con una sola sensazione: la noia. Non è la critica che viene rivolta più spesso al ciclismo? E' noioso. Lo stesso succede al football: sono sempre fermi. E a tutto questo si aggiunge una seconda argomentazione, che nuovamente accomuna due discipline così distanti: non si capisce nulla.
Ci sono sport in cui la prestazione fisica è sufficiente a spiegare tutto, ce ne sono altri dove è la tecnica a completarne la lettura. Lo sport è bello perché è vario, come il mondo. E c'è spazio anche per alcuni sport più complicati, la cui comprensione dipende da quella scienza inesatta che è la tattica. Il ciclismo è uno di questi, il football americano ancora di più.
Tempi lunghi, noia, difficile lettura della competizione... sport come il ciclismo o il football sembrano destinati a una veloce estinzione in un'epoca come quella odierna fatta di contenuti flash, di sintesi ultra-compatte pronte per la condivisione, in cui persino Hollywood sta dando sempre più spazio all'impeto delle brevi puntate dei serial rispetto alla raffinata costruzione dei lungometraggi.
Come raccontare alle generazioni future un mondo che si muove a ritmi così diversi da quelli con cui sono cresciuti? La risposta è semplice e al contempo difficilissima: occorre dotarsi di nuovi strumenti.
La narrazione dello sport è in continua evoluzione, e pure il racconto televisivo sta cambiando. Anche nel ciclismo, dove all'irrompere della dirette integrali si sono affiancati nuovi usi della grafica o differenti stili di cronaca. La trasmissione dello sport in tv si apre a diversi generi di sperimentazione e in questo modo raccoglie costantemente la sfida della modernità.
Lo scorso weekend sono cominciati i playoff della NFL, il momento più caldo della stagione sportiva americana, il culmine del campionato più ricco e più amato. E' il momento dell'anno in cui le televisioni si giocano tutte le loro carte per offrire il prodotto più completo e accattivante, eppure sorprendentemente è diventato anche il momento per uno degli esperimenti più visionari che io ricordi in fatto di trasmissioni sportive.
Domenica sera infatti la sfida tra Chicago Bears e New Orleans Saints non è stata diffusa soltanto dai canali abituali, ma anche da Nickelodeon, uno dei maggiori network televisivi al mondo dedicati ai bambini. In uno dei momenti sacri dello sport americano (e non solo), per una sera la televisione si è lanciata in un esperimento di narrazione e divulgazione sportiva travolgente.
Per tre ore consecutive le immagini del Superdome di New Orleans si sono trasformate nella Hollywood di Roger Rabbit, con cartoni animati e giocatori di football che si incrociavano.
Le linee dei down guizzavano di verde fluorescente, le segnature dei touchdown erano celebrate da fiumi di slime, sui fieldgoal le porte si trasformavano in sagome di Spongebob, mentre le scelte arbitrali erano spiegate dal giovane Sheldon e le grafiche paragonavano i principali giocatori in campo ai personaggi più noti dei cartoni animati. Nel frattempo in telecronaca i tecnici erano affiancati da star dei programmi per adolescenti libere di lanciarsi in domande innocenti o esilaranti imitazioni.
Se il football americano è uno sport difficile da raccontare, il tentativo di Nickelodeon è la prova che una narrazione nuova si può fare, partendo addirittura dal pubblico più difficile di tutti: l'infanzia. Un esperimento riuscitissimo, visto che la trasmissione ha fatto il pieno di ascolti riunendo le famiglie davanti alla tv, ma ha entusiasmato anche gli adulti e i social network, incantati da una novità così dirompente.
Le partite della NFL si disputano durante la notte in Italia, spesso mentre le guardo dal divano cado in dormiveglia, lo sguardo e la mente sono obnubilati dall'orario e dall'accumulo di troppe birre che fanno da corollario a trasmissioni così lunghe.
Così mentre guardavo i Saints battere i Bears tra fiotti di slime ho cominciato ad avere visioni di volate e grandi salite, di circuiti di ciclocross e anelli dei velodromi, nei quali gli scatti dei campioni sono sottolineati da scie fluorescenti, con caschi che si trasformano in elmi da combattimento, ammiraglie in navicelle spaziale e tifosi in supereroi (quelli spesso ci sono già).
Ho pensato a grafiche che raccontano Wout van Aert o Julian Alaphilippe paragonandoli ai cartoni animati, a fumetti fantastici che spiegano cosa succede in corsa dialogando con telecronisti adolescenti. Ho pensato agli stessi corridori che diventano personaggi di un grande cartoon, sfruttando la staticità delle inquadrature in corsa che spesso non devono fare i conti con dinamici cambiamenti.
Ho pensato che anche di qua dall'Atlantico qualcuno avrebbe potuto raccoglierla questa suggestione, e trasformarla in una nuova forma di racconto dello sport che diventa vera divulgazione.
Torniamo all'inizio, agli sport lunghi e noiosi. Il football americano sarà pieno di tempi morti e di tattiche ultra-sofisticate difficilmente comprensibili agli occhi dei bambini, ma è anche una presenza costante dell'ambiente in cui crescono. Come scriveva H.G. Bissinger in "Friday Night Lights", le cittadine d'America lontane dagli skyline scintillanti «hanno tutte trovato un’alternativa valida in cui riversare le proprie speranze. In Ohio e Pennsylvania, in Alabama e Georgia, in Texas e in decine di altri Stati, è l’evento settimanale conosciuto semplicemente come Venerdì Sera»: è la partita di football.
C'è un terreno fertile su cui costruire questa nuova narrazione, ed è il terreno in cui alle nostre latitudine germoglia il ciclismo. Non potremmo estendere questa visione al Veneto, alla Toscana, alla Lombardia, alle regioni dove ogni paese ha (o aveva, ahinoi) la sua squadra e la sua corsa? In Italia, così come in Belgio o in Francia, il ciclismo è una presenza costante che ci accompagna dalla nascita. Non c'è primavera senza imbattersi nel Giro d'Italia in televisione. I bambini sognano la loro prima bicicletta per sfidarsi con gli amici nei parchi o nei giri dell'isolato...
Chissà, magari raccontandogli il ciclismo in un modo differente, come il gioco che è ogni sport, si riuscirebbe a prevenire quell'effetto di inspiegabile noia che tanti di loro proveranno riaccendendo la tv su una corsa in futuro. E troveremmo tutti un modo in più per divertirci.
[Le immagini dei ciclisti cartoon in copertina e nell'articolo provengono dal gruppo Telegram di Bidon, come inaspettato sviluppo della discussione che ha ispirato questo articolo].