[Glasgow 2023] Non si sa mai

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    Scalatore da bancone, pistard da divano. Ama il rumore, i bratwurst, dormire e leggere seduto sul water. Ha visto il volto di Dio in tre occasioni: una volta era Joey Baron, le altre due Laurent Jalabert.

Il primo sguardo è alle spalle, che non si sa mai. Il secondo sguardo è alla Terra, che ci sorregge tutte. Lotte Kopecky irrompe così sul rettilineo finale di Glasgow. Poi lancia ancora un'occhiata indietro e un'altra a terra. Scuote la testa e guarda di nuovo indietro, che non si sa mai. Quindi le mani alla testa, l'urlo, un pugno al petto, le braccia al cielo.

Non si sa mai cosa ti riservi una gara di ciclismo, e non si sa mai cosa ti riservi la vita. Lotte Kopecky lo ha capito fin troppo bene. È qualcosa che le ha insegnato lo sport che pratica da quando era una ragazzina che seguiva ammirata le imprese del fratello maggiore Seppe, già una piccola star tra gli juniores belgi. Quel ciclismo che l'ha portata via da casa quando aveva solo 13 anni per frequentare il liceo sportivo, lontana da una famiglia già segnata da un divorzio, a inseguire un sogno che non era nemmeno un sogno. «Alla maglia iridata non ci pensavo, non sapevo che sarei diventata davvero forte. I sogni sono arrivati dopo», ha detto Kopecky ai piedi di un podio su cui è salita per il secondo anno consecutivo, ma questa volta un gradino più in alto.

Il podio mondiale è un luogo che ormai Lotte conosce bene. Nella sola ultima settimana ci era già salita tre volte, al velodromo Chris Hoy, per prendersi gli ori dell'Eliminazione e della Corsa a punti e il bronzo in un Omnium affrontato da protagonista. Ma quello di George Square è un podio diverso, perché ha un peso che avrebbe potuto schiacciarla.

La scorsa primavera, Lotte Kopecky aveva persino pensato di farla finita col ciclismo, dopo la scomparsa di Seppe, vittima di una lunga odissea depressiva. Il ciclismo sembrava non contare più nulla per lei, davanti a quella tragedia. Ma era pur sempre un'ancora di salvezza, l'angolo in cui rifugiarsi e sfogarsi, e oasi di umanità e di affettuoso sostegno. Una spalla su cui poggiarsi, come quella di Demi Vollering, compagna di squadra con cui si è spartita e scambiata i successi per una stagione intera. Loro due, prima e seconda, alla Strade Bianche, al Fiandre, all'Amstel. In ordine alternato ma nemmeno troppo, con Demi che l'ha preceduta ancora al Tour, due settimane fa, sfilandole la maglia al penultimo giorno. E ancora oggi, prima e seconda, in un abbraccio cominciato subito il traguardo e terminato con un bacino, da un gradino all'altro del podio, diversi i colori delle medaglie e per una volta anche delle maglie.

Si pensa spesso che lo sport possa rappresentare una metafora, per quanto confusa, della vita. E che questa affinità risalti ancor più nel ciclismo, con il suo essere materia di strada, di sacrificio, di costante confronto con la sorte. Nel 2023 di Lotte Kopecky il ciclismo e la vita si sono fusi, compenetrati nella loro drammaticità, ma anche dati cambi regolari, spinti a vicenda fino a un traguardo, a un abbraccio, a un sorriso. Continuando a guardarsi indietro, che non si sa mai cos'altro possa accadere, ma anche alzando al cielo occhi pieni di lacrime. Quelle che Lotte Kopecky non è riuscita a trattenere nemmeno un secondo dopo il suo arrivo. Quelle che l'intervistatore al traguardo ha chiesto se fossero lacrime di gioia. Quelle che sì, ha risposto la nuova campionessa del mondo di ciclismo su strada, oggi sono lacrime di gioia.

 

 

Testo: Filippo Cauz
Foto: Tornanti.cc

 

 

 

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