[Kings of Bidons] Mikkel Frølich Honoré
Internazionali Juniores di Vertova, 2015. Mikkel Honoré è lanciato verso lo sprint finale, ma nella concitazione della volata finisce troppo vicino a una transenna e cade. I suoi occhiali finiscono quasi addosso a Marilisa, trevigiana, che fa la giudice di ciclismo ma quel giorno è lì da spettatrice. Lei raccoglie gli occhiali, attende che il ciclista venga medicato e poi glieli rende. Si scambiano i contatti. Qualche tempo dopo Mikkel va a Milano, dove Marilisa lavora come istruttrice di basket nel settore giovanile dell’Olimpia. Si conoscono, si piacciono, si fidanzano. Mikkel impara la lingua con la stessa velocità con cui apprende tutto, dalle ricette della cucina veneta alle dinamiche del gruppo in una grande corsa a tappe. Fuori dal bus della Deceuninck chiacchiera in un italiano quasi perfetto, fermandosi di tanto in tanto soltanto per pensare all’errore appena commesso e correggersi.
«La famiglia della mia ragazza ci tiene che io parli l’italiano quando sono in Italia», spiega. «Poi a me questo Paese piace. Da un anno vivo a Bergamo, e da quando sono qui ho cambiato prospettiva. In Danimarca ho studiato marketing e comunicazione, ma l’Italia ha spostato il mio sguardo più verso la storia, la cultura, l’arte». Marilisa ha fatto studi classici, e a casa sua ha molti libri: «Ne ho portati con me cinque prima di partire per il Giro, ma con questi ritmi sono riuscito a prenderli in mano poco, finora. Per fortuna un paio di giorni fa abbiamo riposato e ho potuto leggere qualche pagina: Italo Calvino e Aristotele».
Secondo Mikkel esiste un legame tra ciclismo e filosofia: «È uno sport semplice, lineare: due ruote e tu da solo con la tua forza». Uno sport diverso dagli altri: «La bicicletta ti permette di vedere luoghi incredibili, posti che stando chiuso in uno stadio non vedresti. Certo in corsa è difficile prestare attenzione, ma San Marino per esempio me la sono goduta. Ah, l’altro giorno a Tavullia ho visto la casa di Valentino Rossi… Da appassionato di motociclismo è stato speciale». Altra passione, le serie tv: «Suits la mia preferita, ma guardo volentieri anche Mad Men e Narcos. Mi piacciono i dettagli nella costruzione delle storie».
Contribuire a costruire storie – quelle al Giro dei suoi capitani, Viviani e Jungels – è esattamente il suo compito di queste tre settimane: «Lavoro in pianura, trasporto borracce (dieci per volta di solito), tiro per chiudere sulle fughe. È faticoso, ma sono felice». Ma quello che farà da grande ancora non lo sa di preciso: «Non credo diventerò uno da grandi giri, forse sono più adatto alle corse di una settimana. E poi ovviamente mi piacerebbe far bene nelle classiche di un giorno, devo capire se per me vanno meglio quelle delle Ardenne o delle Fiandre. Per ora so che ho un buon motore e che sono giovane». Honoré è nato nel 1997. Va in bici da quando aveva sette anni: «Mio nonno Jøren corse su pista a buon livello, in Danimarca: fu lui a portarmi alla mia prima corsa. Poi due settimane dopo ebbe un ictus e morì. Penso spesso a lui durante questo Giro: essere diventato professionista e aver raggiunto il più alto livello in questo sport è il mio modo di ricordarlo».
In Italia il giovane Honoré ha trovato una nuova vita, una nuova casa e una nuova insegnante: la signora Antonietta, nonna della sua ragazza, che gli sta insegnando a cucinare e a parlare il dialetto trevigiano. «Mikkel fa una pasta buonissima», assicura Marilisa. «Ed è straordinario con il dialetto. Quando arriva a casa esclama ‘Ciao nonna!’ con una cadenza veneta perfetta. Al che lei puntualmente risponde: ‘Vara che beo che te si!’». (LP)