Strade Vuote
Gli spettatori dell'attrazione che a fine Ottocento erano i primi esemplari funzionanti di bicicletta non comprendevano come quel bizzarro strumento potesse, muovendosi, stare in equilibrio. Dopo l'abbiamo capito, anche se non completamente, tuttavia un certo sentore di instabilità, se non proprio di insicurezza, è sempre rimasto – e sempre rimarrà – legato all'azione del pedalare.
Al netto di tutto quello che occorrerebbe fare e che non si fa a favore della sicurezza di chi pedala, andare in bicicletta contiene un elemento intrinseco di pericolo, la sensazione che dallo scarno trono che è il sellino si riescano a controllare ben pochi dei fattori che ora ci tengono in equilibrio e tra un secondo non più.
I ciclisti stessi, almeno quelli professionisti, amplificano tale percezione di precarietà con i loro corpi sottili, le loro facce scavate, la loro proverbiale debolezza (immunitaria).
Sembra insomma che una percepibile, generalizzata fragilità sia il prezzo da pagare per potersi concedere il privilegio di scivolare sul mondo in equilibrio su una manciata di centimetri quadrati di gomma vulcanizzata; per avvicinarsi quanto più possibile alla condizione di sorvolarlo pur rimanendo di fatto ancorati ad esso. Meglio: stando completamente immersi dentro di esso.
Uno dei motivi fondamentali per cui amiamo il ciclismo, d'altra parte, è proprio il suo muoversi completamente dentro la realtà, la sua capacità di elevare a una dimensione altra, sempre letteraria e talvolta epica, l'ordinarietà dei vialoni cittadini, delle stradine di montagna, persino di certe zone industriali; di consentire di realizzare questo piccolo prodigio a noi in prima persona, sulla collinetta dietro casa, o, attraverso i campioni, sui grandi valichi alpini, tra le pietre, nella polvere.
Il rovescio della medaglia è che avere a che fare così visceralmente col mondo significa che quando le cose in suddetto mondo prendono una brutta piega, il ciclismo – a cominciare da quello agonistico – ne risente prima, e più a fondo, di altre attività non strettamente necessarie.
Epidemie, cambiamento climatico, catastrofi naturali, tensioni di ogni sorta. In ciascuna di queste circostanze la fragilità connaturata alla bicicletta e a chi ci sta sopra si trasferisce immediatamente alle competizioni: gli eventi ciclistici non hanno ragion d'essere a porte chiuse (a meno che non si voglia considerare l'e-racing un surrogato accettabile...); non c'è ciclismo senza che a bordo strada i tifosi stiano vicini tra loro, urlino, si sbraccino e s’abbraccino.
In questo inizio di stagione 2020 il campo da gioco risulta impraticabile, dunque il ciclismo per un po', almeno in Italia, semplicemente non ci sarà. Per quanto egoisticamente ci costi un po' ammetterlo, ci sono cose più rilevanti delle corse di biciclette.
La Strade Bianche è stata cancellata; e nel giro di poche ore anche altri eventi si sono ritrovati sospesi o rimandati. Come non succedeva dal 1945, e come è successo in tutto solo 3 volte nella sua storia ultracentenaria, in questa primavera non si disputerà nemmeno la Milano-Sanremo, uno dei simboli dello sport. Guardando più avanti nel calendario, cominciano ad addensarsi dubbi persino sulle classiche del Nord e sul Giro d’Italia.
La maggioranza delle generazioni attualmente appassionate di ciclismo, cresciuta a distanza di sicurezza dalle guerre mondiali, non si era mai trovata a fare i conti con una prospettiva tanto plumbea, né in molti la ritenevano davvero possibile – quanto meno non con così breve preavviso. Se un mondo improvvisamente privo di vie di fuga fisiche appare già di per se una distopia nera, un mese di marzo senza la via di fuga immaginaria che sono le corse ciclistiche è qualcosa di prossimo al peggiore degli incubi.
Tuttavia se c'è una cosa che il ciclismo nel tempo ci ha insegnato più di altre, quella è il valore dell'attesa: gli appassionati di questo sport sanno che occorre aspettare diverse ore prima del passaggio di una corsa; l'esplosione sensoriale di uno scatto in salita, o di una volata, o di un attacco scriteriato, quelle sono le dolci ricompense della pazienza.
In questo caso, l'attesa si prospetta più lunga e complicata del solito, ma un’altra cosa che chi conosce la storia del ciclismo sa è che le stagioni successive alla fine della seconda guerra mondiale sono state senza dubbio le più entusiasmanti della storia delle due ruote. Il ciclismo riportò i cittadini europei in strada, riconsegnando loro luoghi che parevano perduti; il Giro ri-unificò, non solo simbolicamente, l'Italia.
Per questo, forse, un modo di affrontare questa pausa così inattesa e dolorosa può essere cominciare a pregustare fin d'ora quanto sarà eccitante il momento in cui sarà finalmente tornata la normalità, quando l'equilibrio instabile delle biciclette ricomincerà a sorprenderci, e verrà di nuovo la Primavera.
Sia questa qui sopra che la foto di copertina sono state scattate da Tornanti.cc sulle strade della Milano-Sanremo.