Una bici si declama – Dieci versi di Paolo Conte che sono il ciclismo

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

È tutto un complesso di cose che ha fatto sì che negli ultimi giorni abbia riascoltato corposi segmenti della produzione di Paolo Conte, ricavandone il consueto piacere, numerosi benefici spirituali e una solida certezza: nessuno in Italia – e, per quanto ne sappia, nel mondo – ha scritto di ciclismo con la sua efficacia e a un tempo la sua poesia.

Sebbene abbia dichiarato di non essere mai stato un vero appassionato dello sport a due ruote, autodefinendosi un ignorante in materia, il cantautore piemontese è riuscito infatti a fotografare a più riprese, e sempre in assoluta continuità con il suo stile criptico e ironico, costantemente sospeso nello spazio e nel tempo, gli stilemi fondamentali del ciclismo; tutta la sua antica ritualità, e la sua essenza più intima.

Quelli che seguono sono dieci versi, brevemente commentati, tratti da cinque canzoni del suo repertorio nelle quali Paolo Conte ha fatto esplicitamente riferimento al ciclismo – o più in generale alle biciclette – scelti senza nessuna pretesa di esaustività e nella piena consapevolezza che l’esercizio dell’estrapolazione, tanto più quando eseguito su opere di questo livello, può assumere contorni delittuosi.

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È tutto un complesso di cose
Che fa sì che io mi fermi qui

1. È Bartali, da Gelato al limon (1979), la prima, fondamentale canzone nella quale Conte affronta il tema del ciclismo, sport che segue fin da bambino («Ascoltavo la cronaca del Giro d’Italia. Alla radio, naturalmente, sognando e immaginando»), ma le radici del cui fascino, il motivo che spinge a star "fermi qui", preferisce condensare nell'ermetico "complesso di cose".

 

Mi piace restar qui sullo stradone impolverato 
Se tu vuoi andare, vai

2. Come tutti gli appassionati sanno, non è semplice giustificare il proprio interesse per uno sport come il ciclismo. Il protagonista di Bartali, quasi stizzito, suggerisce alla sua donna di andar via, se vuole, mentre lui rimane ad aspettare il Giro seduto in cima a quello che diventa l'emblema della sua passione, un oggetto di contorno che nella poetica di Conte diventa centralissimo: il paracarro. 

«È una canzone non di sport, ma di esistenza umana», ha detto l’autore riguardo il senso di una delle sue opere più conosciute. «Dell’attesa dell’uomo qualunque, che da dietro la curva aspetta che spunti un sogno in forma di ciclista.»

 

 Tra una moto e l'altra c'è un silenzio
 Che descriverti non saprei 

3. L’inadeguatezza del narratore di Bartali si sposta sull’aspetto sonoro dell’attesa di una corsa di biciclette. Nello specifico, sul silenzio, impossibile da descrivere, che inframezza il passaggio delle moto precedenti l’arrivo dei corridori.

Qui Conte gioca sul contrasto tra il silenzio che canta e la musica che suona, un ritmo talmente vertiginoso da risultargli via via più faticoso da riproporre durante le esibizioni dal vivo, come ha dichiarato di recente.

 

I saxes spingevano a fondo
Come ciclisti gregari in fuga

4. Nel lato B di Paris Milonga, del 1981, la bicicletta appare due volte, in canzoni non dedicate al ciclismo.

In Boogie, i ciclisti sono elemento di paragone per i sassofoni che risuonano nella balera, set quasi cinematografico di una scena insieme di coppia e collettiva. I sassofoni spingono "come ciclisti gregari in fuga, mentre il corpo di lei mandava vampate africane e lui sembrava un coccodrillo".

 

Neanche il Signore non c'è
È seduto a pranzo con i suoi amici
E la sua bici non ti presterà

5. La coppia protagonista di Un’altra vita è più malinconica della controparte di Boogie: in questo caso una bici non prestata diventa metafora fulminante dell’afflizione esistenziale dei due protagonisti.

Anche se, nonostante tutto, "un’altra vita verrà, oltre le lune e gli uragani".

 

Diavolo rosso dimentica la strada
Vieni qui con noi a bere un'aranciata

6. Nel 1982, in Appunti di viaggio, Conte inserisce il brano diventato da allora l'atteso fulcro delle sue esibizioni live, durante le quali Diavolo rosso si apre a parentesi e improvvisazioni, arrivando a durare anche più di dieci minuti.

La canzone è dedicata a Giovanni Gerbi, pioniere del ciclismo, astigiano come Conte, soprannominato appunto “Diavolo rosso”. L’eroe a pedali diventa il simbolo dell’incombere della modernità sulla vita immutabile della campagna, là dove "contro luce tutto il tempo se ne va". 

 

Guarda le notti più alte
Di questo nord-ovest bardato di stelle

7. Il testo di Diavolo rosso è tra i più visionari della storia della musica italiana. Il legame tra Conte e la sua terra assume tinte fortissime in questo pezzo che canta il “nord-ovest bardato di stelle”, terra di confine (al di là ci sono i francesi, "incazzati" in Bartali, dagli "sguardi gelati" in Diavolo Rosso) e – basta alzare lo sguardo – di montagne.

E, va da sé, sono montagne care al ciclismo, quelle del nord-ovest: l’Agnello, il Monginevro, il Finestre. La Cuneo-Pinerolo.

 

Una bici si declama
Come una poesia per volare via

8. Scelta dalla Rai come sigla del Giro d'Italia 2007, Velocità silenziosa viene pubblicata nel 2008 all’interno dell’album Psiche. L’elogio di Conte in questo caso è rivolto non a un corridore, ma specificamente al mezzo-bicicletta, nei confronti del quale mostra il più alto livello di ammirazione, paragonandola niente meno che a uno degli oggetti centrali del suo percorso di artista: la poesia.

Una bici "si lubrifica, si modifica, si declama". E, come la poesia, una bici fa "volare via".

 

C'è uno scatto che ti chiama 
Come il fischio che hanno le frenesie

9. “Una bici la si ama”, prosegue Conte in sella a un ritmo da cavalcata, “come l'ultima delle fantasie”. In un ideale chiusura del cerchio iniziato con Bartali, in cui la fascinazione per il ciclismo risultava misteriosa e largamente inspiegabile, l’ultimo verso di Velocità silenziosa, scritta quasi trent’anni dopo la prima, dà consistenza sensoriale a questa passione.

Quello che richiama di una bici, sostiene Conte, è un suono. A spezzare il "silenzio che descriverti non saprei", è un fischio, "il fischio che hanno le frenesie".

 

C'è un po' di vento 
Abbaia la campagna
C'è una luna in fondo al blu

10. Per concludere, torniamo a Bartali. Perché in Bartali, giusto prima dell’ultimo ritornello, c’è un verso che si eleva se possibile rispetto agli altri (che pure non è che volassero bassi). Il protagonista è lì ad attendere fiducioso che il campione passi, ma intanto il giorno sta tramontando "in arancione".

Nel vento, nella campagna che "abbaia" e nella luna "in fondo al blu" della strofa finale c’è tutto. Il legame tra ciclismo e natura, la speranza e la nostalgia, Bartali e Leopardi, l’arguzia e la grazia di un artista unico, che abbiamo la fortuna essere innamorato, tra mille altre cose, anche di ciclismo – poteva forse non esserlo?

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p.s. Su segnalazione del lettore Pino Pace, integro segnalando che in Sindacato miliardari, contenuta in Paolo Conte (1974), l'autore racconta (ma non si sa se sia vero o sia "un inganno") di aver viaggiato in bici, con la moglie, dall'Italia fino addirittura all'Avana: "che pedalata fin qua!"

 

p.p.s. Per un ulteriore approfondimento sul rapporto su Paolo Conte e il ciclismo suggerisco caldamente il contributo dal titolo "La quintessenza. Storie di fuggitivi non illustri", scritto da Gino Cervi per la nostra raccolta "Vie di fuga".

 

A cura di Leonardo Piccione.

 

 

 

 

 

 

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