[Paris2024] Festa mobile

Racconti belli come le corse di ciclismo è complicato scriverne. Non ci riuscì Ernest Hemingway, giusto per fare un nome, che pure tentò diverse volte di buttar giù storie che catturassero il fascino delle gare di biciclette che così tanto l’avevano avvinto verso la fine degli anni Venti. Soggiornava per lunghi periodi a Parigi, all’epoca. Nell’autunno del 1929 si recò al Vélodrome d’Hiver tutte le domeniche dopo la messa, attratto dai «duelli assolutamente entusiasmanti», dai «corridori gomito a gomito e ruota a ruota su e giù lungo la pista a una velocità spaventosa, finché uno non riusciva a tenere il passo e si staccava e il solido muro d'aria dal quale era stato protetto si abbatteva su di lui».

A una mezz’ora d’auto dalla sede del lungi demolito Vélodrome d’Hiver, questo pomeriggio Vittoria Guazzini e Chiara Consonni hanno vinto una di quelle corse di ciclismo la cui magia è difficile pareggiare con le parole. Ne servirebbero troppe anche solo per sintetizzare il regolamento della disciplina in cui hanno trionfato, la più sfuggente, sottile, imprevedibile e spesso trascinante del programma olimpico del ciclismo su pista.

La Madison, o più propriamente Americana, deve il suo nome a un altro velodromo defunto, il primo Madison Square Garden di New York, là dove a fine Ottocento si decise di alleviare l’esaurimento fisico e nervoso dei protagonisti delle Sei Giorni di ciclismo consentendo loro di avere un cambio, un compagno che gli si potesse alternare in quell’interminabile turbinio da criceti a pedali.

La Madison nasce pertanto come gioco di squadra, la squadra più concisa che ci possa essere: una coppia. Occorre che le due metà si conoscano a fondo, si capiscano al volo, si completino, un’intesa sublimata dal gesto accompagnato della mano – il “cambio all’americana” – col quale i protagonisti della Madison si lanciano l’un l’altro, ora per propiziare l’altrui volata (se ne disputa una ogni dieci giri), ora per contribuire alla riuscita di un allungo che porta frutto (e 20 punti) soltanto qualora la coppia "in caccia" riesca a guadagnare un giro di pista sul gruppo principale. Per il resto, è soprattutto una questione di strategia. 

Bisogna saper far di calcolo, nella Madison, una delle sporadiche competizioni disputate su mezzi a pedali in cui il tempo non conta assolutamente nulla. Bisogna, soprattutto, amministrare le energie, sebbene oggi i pistard non sgobbino circolarmente per ore e ore, come ai tempi di Hemingway, ma “soltanto” per 200 giri (gli uomini) e 120 giri (le donne, che hanno la loro Madison appena da due Olimpiadi).

Dopo 20 giri della loro gara olimpica perfetta, Guazzini e Consonni erano davanti a tutte nella graduatoria. Si erano piazzate terze nel primo sprint e avevano vinto il secondo. Dopodiché era cominciata una lunga fase di gara in cui le italiane s’erano nascoste e quasi perse, avevano recuperato, osservato a debita distanza e poi tramato, lasciando che le avversarie inglesi, francesi e americane si consumassero negli sprint e le nederlandesi nell’unica caccia andata a segno prima di quella decisiva, la loro, che Vittoria Guazzini si è inventata con una progressione fulminante a 38 giri dalla fine. Tre o quattro cambi, uno sprint vinto per distacco, un giro guadagnato su tutte, la testa della classifica riconquistata e poi… E poi non era ancora finita.

Mancavano 28 giri e 3 sprint, una coda di centrifuga in cui a Consonni e Guazzini sarebbero potute venire le vertigini e invece per niente, il loro finale di gara era un capolavoro di lucidità, di colpo d’occhio e di reattività di gambe, il primo vede una maglia di un colore diverso dall’azzurro avvantaggiarsi, le seconde le piombano addosso. Vincevano un altro sprint, il penultimo. Era fatta.

Lacrime, incredulità, una gioia che non si può fermare (le bici da pista non hanno i freni); una “Festa mobile”, come il titolo della raccolta di memorie in cui Hemingway ricordò i suoi pomeriggi nei velodromi francesi, così diversi e così simile a questo di Saint-Quentin-en-Yvelines: «la luce fumosa del pomeriggio e la pista in legno dalle curve rialzate e il fruscio dei tubolari sul legno quando passavano i corridori, lo sforzo e la tattica quando i corridori si arrampicavano e si tuffavano, come se ognuno fosse parte della propria macchina».

Chiara Consonni e Vittoria Guazzini, 25 e 24 anni, si conoscono da sempre e hanno imparato alla perfezione cosa significa essere ingranaggi di tutta una varietà di macchine. Bici da strada e bici da pista, corse a tappe e classiche di un giorno, cronometro e volate, quartetti e coppie, con la versatilità e la predisposizione al sacrificio richieste chi pratica l'eclettismo in un Paese con un'infinità di strade pericolose ma un solo velodromo al coperto.

«Devo ringraziare Vittoria, ha colmato qualcosina che io non avevo», ha detto Consonni. «Non calcolate quello che dice Chiara, aveva una gamba della Madonna», l'ha contraddetta Guazzini appena prima di tratteggiare con singolare chiarezza l’istante in cui ha deciso di lanciare una delle più esaltanti cacce all’oro di queste settimane parigine, della breve storia della Madison femminile, della lunga storia del ciclismo su pista italiano: «Mi sono detta ‘O la va o la spacca’. E ha spaccato».

 

Testo: Leonardo Piccione. Foto: Fraioli CONI 

 

 

 

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