Un universo di possibilità

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

Guardandoli così, nel raffazzonato tentativo di riepilogo che è ogni fotografia, si fa una certa fatica a credere che i tre protagonisti siano colleghi, concorrenti della stessa gara che sta per concludersi.

Alejandro Valverde, proteso verso il giovane desideroso d’ossequio, di Remco Evenepoel potrebbe benissimo essere il padre: quando Remco nacque, il 25 gennaio 2000, lui era già da un pezzo ‘El Embatido’, prossimo a un salto nel professionismo che avrebbe compiuto appena due anni dopo.

Forse per questo – in ragione cioè dell’incomparabile fardello di esperienza, del peso delle epoche (tre? quattro? cento?) di questo sport che ha attraversato o che, data la leggendaria longevità, gli sono scivolate addosso – l’espressione di Valverde appare solenne, si potrebbe dire quasi commossa, sensibilmente più grave del sorriso convinto di Vincenzo Nibali, cinque anni in meno del murciano ma stessa barbettina incolta, che guarda Evenepoel con un residuo di complicità, come se il distacco dal campione ventiduenne, dall’universo di possibilità e progetti suggerito dal suo volto glabro, per lui non fosse ancora definitivo: ma lo è.

Passaggio di consegne se ce n’è uno, il pasillo offerto a Valverde e Nibali alla partenza dell’ultima tappa della Vuelta, col vincitore ad attenderli per ultimo, ha avuto – oltre a quello di toccare più d’una corda negli animi sensibili alle faccende degli anni che passano – il grande merito di far interagire i maggiori esponenti delle categorie ora indistinguibili ora riconoscibilissime che sono nel ciclismo passato e futuro.

Epoche, si diceva. Fin troppo semplice, ma non per questo meno veritiero, considerare Valverde ed Evenepoel i più rappresentativi esiti di due ordini contrapposti, due mondi mutualmente esclusivi e ormai completamente avvicendati: il primo fondato sulla persistenza, il secondo sulla precocità; il primo sui tempi lunghi, il secondo sui minimi; il primo sul consumare lentamente, il secondo sull’esplodere quanto prima.

La Vuelta 2022 ha certificato l'assoluta competitività di Evenepoel (anche) in fatto di corse di tre settimane. Non c'è un concetto migliore di predestinazione per rendere l'idea della sua parabola sportiva. Poche ore dopo l’arrivo di Madrid, che ha reso il capitano della Quick-Step il più giovane vincitore del grande giro spagnolo degli ultimi sessant’anni, l’account del PSV Eindhoven ha condiviso una foto di un undicenne Remco, maglia biancorossa e caschetto biondo, scattata verosimilmente all’inizio della stagione 2011/12.

All’epoca, mentre il belga era un centrocampista difensivo di prospetto, lontano anni luce da ogni velleità a due ruote, Valverde e Nibali avevano già vinto una Vuelta a testa, oltre a una lunga serie di altre corse di prim’ordine. 

Nell’arco di undici anni, Remco ha prima cambiato squadra (è tornato all’Anderlecht, nel 2015), poi sport (nel 2017). Ha vinto immediatamente (a San Sebastián nel 2019, da neopro’), ha rischiato di smettere (dopo la caduta al Lombardia, nel 2020), ha faticato a ritrovarsi (al Giro d’Italia 2021), si è imposto definitivamente (quest’anno, prima alla Liegi e poi nel corso di una Vuelta in cui ha mostrato una consistenza, soprattutto psicologica, che non gli conoscevamo).

In tutto ciò, Valverde e Nibali sono sempre stati lì, apici della loro generazione, costanti in un ciclismo che evolveva a velocità crescente. Erano in fuga insieme ancora due giorni fa, con l’obiettivo di appoggiare i rispettivi capitani in caso di assalto (respinto) alla maglia rossa. Correvano rispettivamente il trentunesimo e il ventisettesimo grande giro della carriera, a tredici e dodici anni di distanza dalla prima affermazione in una corsa di tre settimane.

Si tratta di numeri e proporzioni temporali pressoché improponibili nel ciclismo attuale: è semplicemente impossibile ipotizzare dove sarà o cosa farà Remco Evenepoel tra dodici anni, o anche solo tra cinque. Questo è per intenderci un ciclismo – un mondo – in cui nel volgere di quattro Tour de France si è passati dall’annuncio dell’era-Bernal all’irruzione dell’era-Pogačar al sopraggiungere dell’era-Vingegaard. Ci sarà un’era-Evenepoel? Se sì, sarà più o meno duratura dell’era-Ayuso, e poi dell’inevitabile era-Uijtdebroeks?

Nel dominio dell’incertezza e della volatilità navighiamo tutti a vista, e forse per questo nella foto scattata ieri alla partenza dell’ultima tappa della Vuelta al pari del sentito congedo di Nibali e Valverde ci colpisce il candore festoso di Evenepoel, la fermezza della sua fiducia in un futuro di cui non conosce l’estensione, ma che percepisce essere cominciato.

 

Testo: Leonardo Piccione
Foto in copertina: Movistar Team - Photo Gómez Sport

 

 

 

 

 

 

 

 

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