[Yorkshire2019] La prima delusione della vita
È rimasto per un minuto abbondante in piedi, sul lato destro della carreggiata, brandendo lo pneumatico posteriore della sua bicicletta, ormai inservibile.
L’ha agitato per tre o quattro volte in direzione delle auto e delle moto che lo sorpassavano, come un fazzoletto o un talismano; come una bacchetta magica, nella vana speranza di trasformare le insegne di uno di quegli insensibili mezzi nel tricolore colombiano, la sola combinazione cromatica in grado di soccorrerlo, di fornirgli in cambio del rottame che aveva tra le mani un esemplare della più grande invenzione della storia dell’umanità dopo la ruota: una ruota gonfia.
Dopodiché, constatato che della sua ammiraglia non v’era traccia alcuna, e che tutte le altre erano attratte dal rapido incalzare della corsa più che dall’infausto perdurare della sua condizione, Germán Darío Gómez Becerra si è seduto sul prato e si è messo a piangere.
Nulla di isterico: le lacrime di Gómez Becerra sono sgorgate spontanee, necessarie, liberatorie, un distillato purissimo di frustrazione sul viso di un bambino a cui è stato appena tolto il giocattolo preferito, sottratto per dispetto dalla malasorte o più probabilmente da un fratello in vena di scherzi: Gómez Becerra ne ha sette, tutti più grandi di lui.
Sono cresciuti a Betulia, dipartimento di Santander, contadini e allevatori, una buona tradizione ciclistica (dalla regione sono usciti corridori come Hernán Buenahora e Víctor Hugo Peña) e una scuola nella quale Germán Darío prima si è guadagnato un soprannome (Lorica, cioè “litania”, per via delle tartassanti domande che faceva su qualsiasi argomento), poi ha cominciato a pedalare (per caso, su invito di un insegnante, in sella a una bicicletta prestata da amici).
Si è trasferito quindi a Boyacá, dove ha cominciato ad allenarsi sul serio, e quest’anno è diventato campione colombiano e panamericano juniores a cronometro, la sua specialità. Nella gara mondiale vinta tre giorni fa da Antonio Tiberi, si è piazzato bene: 15°. Questo pomeriggio, nella prova in linea, si trovava nel gruppo dei migliori quando la ruota posteriore l’ha tradito, lasciandolo a 77 chilometri da Harrogate appiedato – ma non disperato.
Perché la gara di Gómez Becerra non è finita a bordo strada, gli occhi a interrogare sui motivi del tradimento un tubolare floscio che non avrebbe proferito parola. Dopo una trentina di secondi di scoramento, il giovanotto, apparecchio e maglia celesti, si è preso carico della bici da riparare e dell’orgoglio nazionale da omaggiare e si è rimesso in cammino.
Ha fatto un centinaio di metri a piedi; ha superato una grossa pozzanghera e tre spettatori vagamente divertiti, infine è stato raggiunto dall’intempestiva ammiraglia della Colombia e ha portato a termine (60°, a oltre 16 minuti da Simmons e Martinelli) una gara che ricorderà a lungo, il pomeriggio agrodolce di un diciottenne che ha incontrato in mondovisione la prima grande delusione della carriera, o forse della vita, e che dopo aver pianto un po’ si è rialzato, ed è ripartito.