[Yorkshire2019] Il sole sorge sempre

Per un anno intero, il prossimo, ogni volta che vedrà quella maglia Matteo Trentin avrà un sussulto. «Mi roderà», ha detto fuor di perifrasi al termine di una gara in cui non ha sbagliato nulla e che comunque ha perso. Mads Pedersen è il nuovo campione del mondo, e Trentin è pietrificato. Era lui il grande favorito, alla fine. Era riuscito a liberarsi, senza nemmeno troppo spendersi, dell’ingombrante compagnia di Mathieu van der Poel, l’avversario più temibile, andato in crisi sul più bello, umanizzato per un giorno dal freddo e dai chilometri.

Tra i superstiti, Trentin era il più veloce. Il più concentrato. Era stato abile nella lettura della gara e nella gestione delle energie: aveva sfruttato al meglio la dedizione alla causa di Gianni Moscon e l’implacabilità di Stefan Küng, promotore e motore dell’azione decisiva. Ma un altro l’ha battuto. Quell’altro è stato, semplicemente ma irrimediabilmente, più forte di lui.

Pedersen, 24 anni, era partito per dare una mano ai suoi capitani più titolati, invece torna a casa con una maglia di campione del mondo in valigia. È l'unico suo indumento asciutto: il resto è da strizzare, carico d’acqua e di sudore, eredità di una di quelle giornate che gli inglesi definiscono “buone al massimo per le papere”. Buone per le papere e per i danesi, a quanto pare, o almeno per questo danese tutto sostanza, che al culmine dell’incredulità, subito dopo il traguardo, ha pure trovato le parole per spiegare la sua impresa. La parola, anzi: “sopravvivere”, ripetuta tre volte. «Sopravvivere, sopravvivere, sopravvivere», ha scandito Pedersen parafrasando un magistrato che non conosce.

Sopravvivere alla pioggia e al freddo, alla sofferenza e agli avversari, quelli più giovani e quelli più coriacei. Quello che dai quasi per scontato ti batterà. Perché Trentin pensava a vincere, oggi, non a sopravvivere. Era certo di farcela. Era convinto che il suo tremore fosse causato dall'emozione della volata imminente, dall’arcobaleno e soprattutto dall’adrenalina, i cui effetti furono studiati per la prima volta proprio ad Harrogate, nel 1893, dal dottor George Oliver. Ma il tremore di Trentin più che con l’adrenalina aveva a che fare con il freddo cane, e con un altro composto chimico, quello che Primo Levi definì “tristo araldo della fatica”: l’acido lattico.

Andrà oltre questa sconfitta, Trentin. Ci riderà su. Un po’ si arrabbierà, vedendo Pedersen in maglia iridata. Si chiederà se non fosse stato meglio perdere il Mondiale dopo aver commesso un errore madornale, avere qualcosa su cui recriminare, e non così, com’è stato, senza nulla per cui rimproverarsi veramente. Ma stasera, giù dal podio, gli toccava soltanto capire come ricominciare a muoversi; come da pietra ritornare carne. Un'ora più tardi la delusione più cocente della sua carriera, Matteo Trentin aveva una medaglia d'argento al collo e un desiderio ancora negli occhi: «Speriamo che domani ci sia il sole. Da qualche parte il sole sorge sempre».  (FC-LP)

 

 

[la foto qua sopra è di Tornanti.cc]

 

 

 

 

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