[Kings of Bidons] Koen Bouwman

Mancano 6 chilometri alla fine della quarta tappa e il Giro di Tom Dumoulin si è appena incrinato. Una distrazione a centro gruppo, una frazione di secondo sufficiente a innescare una specie di strike e a farlo cadere. Il gruppo si è spezzato in due: alcuni corridori sono finiti sull’erba secca, alla destra della strada; altri sono seduti sull’asfalto in attesa di soccorso. Dumoulin si è fatto male al ginocchio, mentre Chad Haga, suo compagno di squadra, è finito dentro un canale a sinistra della carreggiata. Koen Bouwman, olandese come Dumoulin ma gregario di Primož Roglič, adocchia il capitombolo di Haga e rallenta. Lascia la bici a bordo strada e si sporge verso il fosso, aiutando il collega a rialzarsi. «Non sapevo come fosse finito lì dentro. L’ho visto riverso a testa in giù e ho fatto la cosa più logica in quel momento: gli ho dato una mano. In certi casi la maglia che indossi non è importante».

In molti si sono complimentati con lui per il gesto di fair play, tuttavia Bouwman, 25enne di Ulft, cittadina di diecimila abitanti al confine con la Germania, tende a minimizzare: «La caduta mi aveva tagliato fuori e per quel giorno non ero più di grande utilità a Primož, così ho deciso di fermarmi. Il giorno dopo Chad è venuto a ringraziarmi, sono cose che succedono». Bouwman è un passista che tiene bene in salita; gli piace attaccare e pensa di poter dire la sua nelle corse a tappe di una settimana. Al Delfinato del 2017, nel suo secondo anno da professionista, ha vinto una tappa e la classifica degli scalatori.

Qui al Giro è completamente devoto alla causa-Roglič, soprattutto dopo il ritiro di Laurens De Plus, il luogotenente dello sloveno: «Primoz è un capitano con cui è piacevole avere a che fare. Di solito è silenzioso, però ha pure delle uscite parecchio divertenti. A noi gregari non chiede moltissimo, ma cerchiamo di fare tutto al meglio, a partire dalle borracce».

Bouwman di nome fa Koen ma tutti lo conoscono come Koentje, cioè “il piccolo Koen”: «Da ragazzino ero veramente minuto, poi per fortuna le cose sono migliorate». Contrariamente a quanto accade nella maggior parte delle storie di ciclisti è stato lui a ispirare suo padre, non viceversa: «Avevo quattro anni ed ero attratto da chiunque andasse in bicicletta, così chiesi ai miei di comprarmene una. Mio padre ha cominciato a pedalare per merito mio». Adesso Koen non conosce alternative alle due ruote: «Non ho mai avuto un piano b. Se non avessi fatto il ciclista sarei diventato un meccanico, o avrei aperto un negozio di biciclette». Vicino casa, in Olanda, oppure – perché no – molto lontano da casa: «Per qualche motivo sono abbastanza famoso in Giappone. Ho un sacco di tifosi lì, forse perché a fine stagione mi piace disputare la Japan Cup. Qualcuno dice invece che sia per via dei miei riccioli biondi, ma io di questo non sono sicuro: non mi vedono mica tanto spesso senza caschetto...».  (LP)

 

 

 

 

 

 

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