[Lombardia 2021] Una pagina da girare

Di foglie morte nemmeno l’ombra. Nel diciassettesimo giorno dell'autunno 2021 il cielo è azzurrissimo, il sole caldo e la natura non ha ancora rinunciato al verde, tonalità standard delle valli che separano Como da Bergamo.

Il cambiamento climatico è ormai attore stabile nelle vicende del ciclismo, il suo influsso è qualcosa con cui deve fare i conti anche chi ha come mestiere il pedalare.

Cambia il tempo; cambiano i tempi. Cambiano i colori e le paure. Nell'anno 999, gli abitanti di Aviatico, paesino sorto tra variopinti boschi sul piccolo altipiano che sovrasta la Val Seriana, guardavano il cielo con timore. I capricci del clima erano strumento di divinità minacciose che muovevano il mondo, al quale sembrava avessero affibbiato una data di scadenza.

Mille e non più mille. Terrorizzati dall'apocalisse imminente, uomini e donne di Aviatico decisero di spostarsi animali al seguito in un luogo più riparato, tra le montagne. Una leggenda locale vuole che sia nato così il primo villaggio di Ganda. 

Il mondo non è finito nell'anno mille. Ha superato persino il duemila e Ganda è ancora lì, in cima alla salita dove Tadej Pogačar ha deciso di andarsene - prima con altri tre poi tutto solo - verso la conquista del suo primo Giro di Lombardia.

Non era un piano prestabilito («Ho visto che nessuno attaccava e allora ho pensato di farlo io», ha detto alla fine), ma non ha nemmeno rappresentato una sorpresa, in alcun modo. La presenza di Pogačar in corsa, man mano che il suo palmarès a velocità turbo s’inspessisce, comincia ad avere in questo ciclismo le sembianze di un'apocalisse.

Se solo un anno fa il suo team manager Matxin s’impegnava a mettere in guardia dagli affrettati confronti con Egan Bernal, ricordando come ai suoi tempi le etichette di "nuovo Indurain" rovinarono la crescita di una generazione di corridori, oggi il fu "Piccolo Pogi" si trova a condividere i titoli di paragone direttamente con Fausto Coppi ed Eddy Merckx, due angeli sterminatori delle corse di ogni tempo, gli unici in grado di vincere il Tour e due classiche monumento nella stessa stagione.

Gli unici prima di Pogačar, al quale la cosa sembra nemmeno importare granché: «A me semplicemente piace correre. Pedalo e mi godo il momento, senza pensare se ci sia qualcosa di storico o meno».

Ma il suo nuovo trionfo sembra davvero suggellare una specie di cambio millenario nel ciclismo. Ancor di più dopo un Lombardia, corsa che rappresenta di per sé una pagina da girare nel calendario.

Più d’uno oggi l'ha girata definitivamente: Daniel Martin e Tomasz Marczyński hanno disputato l'ultima corsa della loro carriera, e anche il DS e mentore di Pogačar Allan Peiper da domani si godrà la meritata pensione.

Per chi invece andrà avanti ci saranno nuove paure da gestire e nuove strategie da edificare. Alaphilippe ripenserà all’insolito tatticisimo che l’ha incatenato nel momento chiave della gara. Masnada ricorderà il suo bel secondo posto in uno strano misto di orgoglio e rimpianto. Roglič tornerà al dubbio ricorrente di quest’ultimo anno, cioè se ci sia un modo di opporsi al più inarrestabile dei suoi connazionali.

Racconta Pogačar di aver cominciato a correre dopo averlo visto fare a suo fratello. Qualche mese dopo rispetto al fratello, in realtà, quando è cresciuto a sufficienza per toccare con i piedi per terra e non cadere ad ogni frenata. Dodici anni più tardi, Tadej non ha più alcuna necessità del contatto con il suolo. Si è levato in volo, e lo sguardo del resto degli abitanti del gruppo si rivolge al cielo terso di Bergamo più preoccupato che mai.   

Testo a cura di Filippo Cauz, con la collaborazione di Leonardo Piccione.

 

 

 

 

 

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