[TdF2022] C'è del Mads in Danimarca
Ogni giorno in cui arriva la fuga è un giorno buono. Partiamo da questo assunto – dalla certezza s’intende che il successo degli evasi sia sempre un balsamo per i nostri sogni frustrati di ribellione – per riconoscere che talvolta non si può fare a meno di incitare gli inseguitori e, pur senza passare dalla loro parte e spingere insieme a essi verso la ricomposizione dell’ordine costituito, comprendere appieno le loro ragioni, i loro tormenti.
Questo è capitato oggi quando, a quaranta chilometri dall’arrivo della tredicesima tappa, in testa al gruppo hanno preso ad alternarsi due figure solide, minacciose nelle intenzioni, che tuttavia nel volgere di quaranta minuti o poco più si sono ritrovate completamente sfinite, azzerate nelle energie e nel morale.
Le due anime in pena rispondevano ai nomi di Christopher Juul-Jensen e Jack Bauer, i due facchini pedalanti nelle cui gambe albergavano le speranze di riuscita del tardivo inseguimento della BikeExchange di Matthews e Groenewegen, tra i favoriti nel caso di arrivo in volata.
Con le bocche dilatate dallo sforzo e senza lo straccio di un avversario disponibile a dargli un cambio – pardon, un exchange – Juul-Jensen e Bauer assolvevano a un compito ingrato: non solo gli veniva chiesto di ricucire su una fuga il cui impulso primario era dato niente meno che dal campione del mondo e da quello europeo a cronometro (al secolo Filippo Ganna e Stefan Küng, o per maggiore semplicità “les machines”, definizione di Florian Sénéchal), ma dovevano farlo nella consapevolezza che, anche se fossero riusciti nel proibitivo intento, l’esito finale della giornata sarebbe stato legato alla tutt’altro che probabile eventualità che uno dei loro capitani veloci avesse avuto la meglio allo sprint su quel demonio di Van Aert.
Testo: Leonardo Piccione
Foto: Tornanti.cc