[TdF2022] Michael Mørkøv, o della solitudine

  • Di:
      >>  
     

    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

Michael Mørkøv è un pallino solitario abbandonato al suo destino. La grafica lo indica con un numero 3 nel circoletto. Avanza lento sulla mappa della corsa aggiornata in tempo reale, che è anche l’unico modo per sapere se sia ancora in gara, e dove si trovi.

La quindicesima tappa è appena entrata nella sua seconda metà e lui ha già oltre venti minuti di ritardo da tutti gli altri. Non ci sono telecamere dedicate al pallino numero 3, segnalato come “Back of the race” o alternativamente “Distancé”: le attenzioni sono tutte per i numeri 1 e 2, la “Tête de la course” e il “Peloton”, cioè gli altri centocinquantadue corridori partiti da Rodez (tre in meno di quelli arrivati ieri a Mende: Clarke e Cort positivi al virus; Roglič risparmiato per il prosieguo della stagione).

Tra questi centocinquantadue ci sono il futuro vincitore di tappa, la maglia gialla, la maglia a pois, quella verde e quella bianca. Tutti tranne Mørkøv, che attraversa il suo purgatorio di fatica e sudore con il sol scopo di arrivare a Carcassonne entro il tempo massimo, sperare nel potere lenitivo del giorno di riposo ed essere pronto martedì a fare quello che ha sempre fatto, le mansioni da lussuoso tuttofare che nell’ultima settimana hanno ridotto al lumicino le sue riserve d’energia: scortare il suo velocista su e giù per le montagne, pilotarlo nelle volate che ancora rimangono (se rimangono), dire le parole che vanno dette e fare le cose che vanno fatte, quelle che dopo quattordici anni di professionismo riescono con la naturalezza impagabile dell’abitudine.

I pallini 1 e 2 sono così vicini l’un l’altro da sembrare sovrapposti. Oscilla intorno ai due minuti il vantaggio dell’1 sul 2, cioè dei fuggitivi – Politt e Honoré – sul gruppo: si tratta di meno di un chilometro di distanza e la riduzione in scala fa sì che sulla mappa appaiano come uno solo. Il pallino numero 3 invece no: è lontano qualcosa come quindici chilometri dal 2, e più passa il tempo più si separa dagli altri.

A ottanta chilometri dall’arrivo, il suo ritardo dalla testa della corsa è salito a mezz’ora. A sessanta dall’arrivo è di quaranta minuti. Quaranta minuti di ritardo e quaranta gradi di temperatura. La giornata più difficile della sua carriera al Tour de France è capitata a Mørkøv nel pomeriggio più torrido dell’anno.

Anticipando i fuggitivi, un’autobotte bagna il percorso di gara per evitare che l’asfalto si squagli. In gruppo si alternano primi piani di ghiaccioli, cubetti adagiati sulle nuche, borracce – miriadi di borracce.

Toms Skujinš a un certo punto se ne infila talmente tante sotto la maglia da annichilire ogni possibile residuo d’aerodinamica, grumo informe e bitorzoluto, prometeo alla rovescia che risale il gruppo omaggiando i compagni di squadra del dono salvifico dell’acqua. La Quick-Step condivide sui social una foto di Mørkøv: è solo e affaticato, recita il tweet, ma ce la sta mettendo tutta per arrivare entro il tempo limite. Deve tagliare il traguardo al massimo 53 minuti dopo il vincitore.

CONTINUA QUI
 

 

Testo: Leonardo Piccione

 

 

 

 

 

 

 

Categoria: