[TdF2022] Apri tutto, Laporte

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

La diciannovesima tappa è il mattino dopo la sbornia. Cielo grigio (uniformemente grigio), strada piatta (quasi del tutto piatta), stomaci sottosopra (quello di Pedersen quantomeno: lo comunica la Trek-Segafredo alla partenza) e spiriti in cerca della proverbiale quiete dopo la tempesta (metaforica: non piove da Copenaghen).

Lungo la strada per Cahors si aprono le vallate dipinte da Henri Martin, le campagne cantate da Nino Ferrer. Ci sono campi di girasoli, vigneti e pubblico, il pubblico invariabilmente gioioso del Tour, uomini, donne e bambini che hanno sedie pieghevoli, poca fretta e assolutamente nulla da obiettare se oggi il peloton se la prendesse comoda, prolungando la festa dell’attesa e offrendo, in un passaggio più flemmatico del solito, espressioni distese su facce distinguibili.

Il problema è che tappa numero diciannove significa che ne mancano tre in tutto, e molte squadre non hanno ancora vinto, e tanti velocisti sono a secco. Inoltre c’è vento sulle strade di Tarn e Garonna, e vento in greco si dice anemos, da cui anima, ma nel linguaggio delle biciclette si dice ventagli, da cui nervosismo. Non è per intenderci una giornata da flâneurs, gli «osservatori appassionati» di Baudelaire: è una giornata da rouleurs, i menatori appassionati del ciclismo.

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Testo: Leonardo Piccione
Foto: Tornanti.cc

 

 

 

 

 

 

 

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