[TdF2022] The power of the Pog

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

Ha detto Rafał Majka che Pogačar va in bici come gioca alla PlayStation, e forse è per rispetto di questa similitudine da lui stesso partorita che all’attacco del tratto più duro della Planche, non avendo per le mani un joystick ma un manubrio, lo scalatore polacco compie il gesto che nella sua personalissima mimica equivale evidentemente a premere il tasto START: si sfila, allarga il braccio sinistro e a mano aperta indica al giovane capitano l’erta polverosa sulla quale divertirsi, dando sfoggio delle mosse speciali che conosce solo lui e che lo rendono il più implacabile dei partecipanti a questo grande gioco delle biciclette, il suo sparatutto preferito. 

In quel momento abbiamo creduto che Pogačar fosse sul punto di depositare le nostre illusioni di un Tour de France ancora in discussione nel luogo che nel 1636 le ‘belles filles’ preferirono secondo la leggenda alle grinfie degli aggressori svedesi: il dirupo giù dalla montagna. Invece sullo sterrato che ha trasformato la Planche in Super Planche è successa una cosa per certi versi inattesa: per scelta o per impossibilità – verosimilmente per la prima, ma non ci dispiacerebbe fosse la seconda – Pogačar si è come astenuto dal vidimare il documento, già compilato in tutte le sue parti, che certifica la sua terza vittoria consecutiva al Tour de France. 

E così, in fondo a una tappa che avrebbe dovuto estinguerle tutte, sono rimaste in vita diverse fiammelle di speranza, o quanto meno due.

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Testo: Leonardo Piccione

 

 

 

 

 

 

 

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