G102T12 Cuneo - Pinerolo

Cesare Benedetti era davanti a tutti quando è passato per via Trento, nel centro di Pinerolo, a meno di tre chilometri dall’arrivo. Ma tra gli spettatori che si erano piazzati lì, tra la Pasticceria Beltramino - in vetrina una bicicletta azzurra e decine di bottiglie di liquore al cioccolato a forma di Mole Antonelliana - e il Sexyshop “Rosa del mistero” - aperto 24 ore su 24, anonimato garantito - in pochi immaginavano che avrebbe vinto la tappa. Non lo pensava la libraia che aveva risposto solo copertine rosa in vetrina e nemmeno l’omone seduto penzoloni sullo strappo di via Principi D’Acaia, né tantomeno poteva pensarlo la signora che si era riparata nel fresco della chiesa di Santa Croce: lei pregava.

A due chilometri dall’arrivo Benedetti era davanti ma tutti ritenevano avrebbe vinto un altro. Intanto perché prima del traguardo c’era ancora una salita, e tra i reduci della fuga in cui si era ficcato Benedetti c’erano scalatori migliori di lui. E poi perché - particolare mica da poco - Benedetti prima di oggi non aveva vinto mai. E in effetti a due chilometri dall’arrivo non era più davanti, e nemmeno a 700 metri: c’erano Brambilla, Capecchi e Dunbar. Cominciavano a guardarsi.

La dodicesima tappa del Giro è un come il titolo del volumetto esposto al centro della libreria di via Trento: autrice, Irene Nemirovsky; titolo, Il ballo. Ecco, questa tappa forse è una quadriglia, una danza che si balla a coppie, con i componenti di ciascuna che a turno conducono la danza e propongono figure differenti. La coppia della UAE propone lo scambio della maglia rosa: fine disegno tattico e passaggio delle insegne da Valerio Conti a Jan Polanc. Movistar e Astana si lanciano addirittura in una figura combinata: una coppia per squadra, quattro danzatori in tutto (addirittura cinque nel finale, con l’Astana che aggiunge Cataldo per sparigliare) e 28 secondi recuperati in classifica generale da Landa e López. 

Infine Brambilla e Capecchi, che corrono in squadre diverse ma nel finale formano la coppia di candidati alla vittoria di tappa. Propongono il tradizionale passo dell’attendismo doppio: io guardo te, tu guardi me, alla fine vince un altro. Rientrano prima Dunbar poi Caruso e Benedetti, che rilancia e vince. Benedetti vince senza alzare le braccia: da piccolo gli hanno insegnato che si pedala fino a un metro dopo il traguardo. Avrebbe voluto fare l’ultimo uomo nei treni dei velocisti, ma poi si è accorto di non averne il fisico e ha optato per gli attacchi senza speranza - o quasi. Benedetti è stato in fuga talmente tante volte che ha perso il conto dei chilometri, e adesso - dice - sarebbe tardi per cominciare. Esulta con moderazione, con voce dimessa, con commozione appena accennata. Perché questa vittoria per lui non è affatto un trampolino, piuttosto la chiusura di un cerchio: “Finalmente ho vinto, ma non è che per me cambi molto: ho 32 anni...” (LP)

 

 

 

 

PS - Di questo e altro parleremo tra un po' nel nostro podcast notturno "Giroglifici - un programma tutto da decifrare". Non sappiamo ancora quando, ma se ci seguite a un certo punto vi manderemo tutti i link.

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