Classifica appunti del 17 maggio 2021
Una serie di appunti presi durante il Giro d'Italia 2021 da Leonardo Piccione e riproposti senza particolare ordine. Elenchi, pensieri, foto e stralci da un viaggio al seguito dell'edizione 104 della Corsa Rosa.
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L'addetto alla seggiovia di Campo Felice ci aveva avvisati: «Se la cabina si ferma non spaventatevi, ripartirà da sola dopo qualche minuto». Adesso che siamo sospesi sopra l'ultimo tratto di sterrato - il percorso di gara un impasto beige sotto di noi - ripenso al suo avvertimento. Non ho paura, e se è per questo nemmeno troppo freddo.
Ho imparato che una parte consistente della propria sopravvivenza al Giro è legata, oltre alla costanza dei rifornimenti di caffè, alla scelta del dove e quando cambiarsi - dunque alla memoria di certi consigli di base della mamma ("copriti", "non tenerti mai addosso vestiti umidi") - così nell'ultima sosta prima di arrivare su mi sono attrezzato a dovere.
Il parcheggio del Centro Ippico Velino Sirente era un luogo perfetto per la muta: poche persone intorno; solo un buon numero di cavalli, i quali per nostra fortuna sono soliti non scandalizzarsi (quantomeno non in una forma verbale a noi comprensibile).
Lì mi sono infilato il secondo paio di calzini, il pantalone lungo, la giacca a vento con interno in pile e lo scaldacollo che adesso mi fanno quasi sperare che la seggiovia non riparta fino al passaggio dei corridori sotto di noi. Mentre penso alle belle foto che potrei scattare, all'avventura straordinaria che potrei raccontare, la cabina si rimette in moto con sinistro clangore. Ha anche cominciato a piovere.
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Due sensazioni che mi ricorderò dell'arrivo di Campo Felice:
- il plasticoso ticchettio della pioggia sui palloncini rosa che recintavano un gazebo di tifosi
- l'umidità penetrata nelle scarpe durante l'attesa delle dichiarazioni di Bernal, fuori dal camioncino delle videoconferenze
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L'ottava foto che ho scattato durante questo Giro: Geoffrey Bouchard non ha vinto nemmeno oggi. Negli ultimi quattrocento metri è stato sorpassato da Bernal e da altri venti corridori dopo di lui. Per questa ragione, al suo arrivo trova l'area del traguardo alquanto intasata.
Poco dopo la linea, sulla destra, hanno trovato posto la nuova maglia rosa e i suoi massaggiatori, e il grosso dei fotografi. Appena oltre, da un lato e dall'altro dello sterrato, stanno diversi altri ciclisti, vertici di crocchi più ridotti di quello di Bernal ma simili nella tipologia di gesti in corso. Qualcuno porge una maglia asciutta a Evenepoel, un'addetta prende in carico la bici di Vlasov, un microfono si allunga verso Ciccone.
A Bouchard tocca pedalare per una cinquantina di metri prima di trovare uno spazietto in cui abbandonarsi, una barriera alla quale poggiarsi. È, questa, la transenna oltre le cui griglie ci siamo noi. In piedi sotto il gazebo che ospita i giornalisti allergici alla sala stampa, osservo tutta la scena. Il massaggiatore dell'AG2R si avvicina al suo corridore con un asciugamano bianco, già arrotolato. Glielo poggia con cura intorno al collo, concludendo l'azione con una piccola pacca sulla spalla. Infine rimuove gli occhiali dal volto del corridore, come già sapesse che l'unica vera necessità di Bouchard in questo momento discende dai dotti lacrimali.
Geoffrey Bouchard ha ventinove anni, ne ha otto. Piange per la vittoria che non ha ancora conosciuto e che gli è sfuggita un'altra volta, un filo di saliva gli cola da un angolo della bocca, singhiozza stropicciandosi gli occhi con i pugni, come per un capriccio non accordato, come dopo un rimprovero ingiusto, questo è uno sport di bambini che diventano uomini in cima a una montagna, di uomini che tornano bambini seduti sulle pietre mentre piove.
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Una dichiarazione rilasciata da Geoffrey Bouchard dopo essersi asciugato un po' il volto:
«Ci avevo già provato ieri, di sicuro lo farò ancora nelle prossime settimane».
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Egan Bernal si guarda un'ultima volta indietro, poi di nuovo davanti. Un paio di volte china il capo come se stesse fissando il terreno o contando le pietroline sotto di sé, ma è solo un modo per mettersi un attimo più comodo. Si rigira, non c'è nessuno, è fatta. Vince, ma non festeggia. Nessun braccio alzato, nessuna dedica, nessun ammiccamento.
Troppo stanco per esultare? Una polemica contro qualcuno, forse qualcosa? Può essere che c'entrino le notizie di attualità dalla Colombia? Nulla di tutto questo. La motivazione è semplice, banale, il titolo di un programma di RealTime: «Non sapevo di aver vinto», dice candidamente.
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Una cosa che ha detto Bernal rispondendo a una domanda che gli ho fatto:
«Sai, nell'ultima parte della salita sono entrato nel mio mondo e sono andato». (Dalla nona puntata di #GIROglifici2021. Bernal parla bene l'italiano, gesticola il giusto, ti guarda e ogni tanto ti dice "sai", come se ti conoscesse di persona, come se tu conoscessi lui, e mentre ti parla a te sembra per davvero di sapere molto di più su quel suo mondo.)
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Una citazione con cui chiudere:
«Stanco. Felice. Ma anche un po’ rammaricato. Perchè secondo, comunque, non è primo». (un bravo, impeccabile e lineare Giulio Ciccone, vivace su Twitter quasi quanto in corsa).
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Puntate precedenti:
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02 - 10 maggio
01 - 09 maggio
A cura di Leonardo Piccione.