Una delle ore più attonite e smemorate della mia vita

[Una raccolta di pensieri dal Giro d'Italia 2022, scritti in diretta dalla strada da Michele Pelacci]

Nella memoria in perenne riduzione del mio pc, il file contenente queste righe è rimasto fermo per diversi mesi. Presto è scomparso dalle cartelle “File recenti” che il computer crea da sé, è rimasto a prender polvere mentre io pensavo ad altro. Prima è finita la stagione 2022, poi è finito il 2022, nel frattempo ho finalmente terminato la mia tesi di laurea sulla letteratura del Giro d’Italia. Che inizialmente doveva arrivare ad oggi, o quasi, ma ha finito per portarmi a rivivere i Giri del passato, quelli vecchi vecchi. Così, leggendo un passaggio degli scritti di Anna Maria Ortese sul Giro d’Italia, raccolti nell’antologia “La lente scura”, sono state le parole che intitolano questo pezzo a riportarmi al mio Giro 2022, il mio primo. Che è stato, nel complesso, mi sembra di poter riassumere, una delle ore più attonite e smemorate della mia vita. Così, prima che un altro Giro cominci, questi sono i miei ricordi di un anno fa, quelli da cui ripartire.

*

Ho capito di essere veramente dentro al Giro d’Italia soltanto alla sesta tappa. Alle prime tre era impossibile, poiché le ho viste a circa ottocento chilometri di distanza dalla partenza in Ungheria, mentre quarta e quinta sono state a loro modo delle eccezioni (per l’arrivo in salita sull’Etna, per l’annuncio del ritiro di Nibali, per la traversata dello Stretto) all’interno di quella grande eccezione che è il Giro. È stata la sesta, invece, che mi ha portato dentro. Attesa, festa, persone, rosa dappertutto, soste, deviazione ammiraglie, imprevisti, scazzi, adrenalina, stanchezza, gioie, ritrovi, punti di passaggio obbligatori, «oh ma tu che sei del Giro, quando arrivano?».

Per la prima volta, nella sesta tappa si fa tutto o quasi il percorso di gara. Dopo le interviste in una Palmi calda e affollata, abbiamo anticipato la partenza della corsa di pochissimo, per trovarci, nel tempo di in un paio di minuti, a doverci confrontare con la viabilità locale, spostando qualche transenna, chiedendo di spostarci qualche transenna che la prego siamo della corsa dobbiamo andare, e trovando infine la strada chiusa. Tutto il lungomare calabrese chiuso. Per noi. O meglio, per il Giro, ma in quel momento noi eravamo parte del Giro.

La cosa più bella è stata guardare, salutare o anche solo fare un cenno a chi stava a bordo strada. A chi attende il Giro con quegli occhi che cercano in ogni macchina qualcosa di ciclistico. Sono occhi speranzosi di scorgere qualcosa, un ex professionista passato direttore sportivo magari, un campione del passato invitato dall’organizzazione. Erano anche gli occhi miei fino a qualche settimana prima, quando delle corse ero un tifoso, avido di assorbire quanto più possibile dal passaggio della gara.

Guidare non mi fa impazzire, ma nel momento in cui l’organizzazione consegna l’intera strada ai mezzi del giro, immuni da cartellonistica o multe, è impossibile non provare quel brivido, un po’ da fuorilegge un po’ da Lewis Hamilton. Il mio Giro è stato tanti chilometri al volante, un’inverosimile quantità di foto, appunti, messaggi vocali inviati a me stesso, diverse cose raccattate di cui non ho più saputo che farmene. Di dubbia utilità e irragionevolmente euforiche cose messe assieme, come queste righe, come il mio primo Giro d’Italia.

Tappe 1, 2 e 3, quelle ungheresi

    • Al B&B “Carillon” di Civitavecchia condividono con noi la zona colazione Hans e Maria Luisa, una coppia di pensionati svedesi in viaggio tra Spagna e Roseto Capo Spulico (CS). Non hanno mai sentito parlare del Giro d’Italia, ma sul traghetto dalla Spagna hanno visto ammiraglie e furgoni della Movistar. Dicono due frasi in italiano: «solo il fesso paga le tasse» e «il viaggiatore ha sempre qualcosa da raccontare».

    • Ancora non mi va giù il rifiuto di Cauz di fermarsi al Bar Bagia al porto di Civitavecchia: in un altro posto più in centro chiedo un bombolone e la cameriera risponde «e come gliela riempio la bomba?». La bomba, come sentirò dire anche a Pescara, è il miglior modo di chiamare il bombolone.

    • Due immagini consecutive nella galleria del telefono: lo screenshot di un messaggio di mia madre, inorridita dalla mia ignoranza in materia Rino Gaetano, e il logo dell’Autorità Portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta. Ovale, blu e azzurro su fondo giallo, a fianco di un cartello della polizia: come il logo di un’Autorità Portuale dovrebbe essere.

    • Dopo la cronometro spaziale di Simon Yates a Budapest, si era molto e giustamente parlato del lavoro svolto da Marco Pinotti come allenatore in BikeExchange. Mi ero salvato questo tweet di Pinotti, in cui si indispettisce per la confusione che L’Eco di Bergamo fa tra le piazze di Osio Sotto e Osio Sopra.

Tappa 4 – da Avola all’Etna

    • Due oggetti visti ad Avola, nel giorno di riposo: un volantino di Gioacchino Tiralongo, cognome noto nel mondo ciclistico siciliano, per le elezioni comunali (prenderà 26 voti) e una bottiglia di Amaru Unnimaffissu, la cui etichetta recita: «Sono nato siciliano e Amaru Unnimaffissu può suscitare effetti di subconvincimento e fissazioni varie».

    • La host del B&B “Villa Morgante” di Pedara ha riempito una parete della stanza in cui facciamo colazione di foto dell’Etna: «Siamo fortunati perché è attivo. Il problema è quando tace, che se la pensa e poi esplode».

    • Salendo verso il Rifugio Sapienza, afferrato panino e/o pizzette in una panetteria di Santa Maria di Licodia, non abbiamo idea di dove consumare il pranzo. Il parco più vicino fa al caso nostro e ha pure un grande nome: “Parco delle Consuetudini”, concesse da Bianca di Navarra – come si legge in un cartello del parco – alla signoria monastica di Santa Maria di Licodia il 23 luglio 1414.

Tappa 5 – da Catania a Messina

    • La mixed zone di Catania è animata da Alan Marangoni (al quale Edoardo Affini dice che «il 54 non è più abbastanza. C’è gente che va col 58; guarda Campenaerts, ziocan») e da un signore col megafono, dietro le transenne, che urla all’addetto stampa dell’Astana di afferrare una maglietta da regalare a Nibali.

    • La sala stampa all’arrivo, invece, è in subbuglio a causa dell’annuncio del ritiro di Nibali a fine stagione. Rimangono più giornalisti del solito, più a lungo, qualcuno mi ha soffiato il posto e mi tocca andare tra i fotografi: non uno spasso siccome cospargono sul tavolo macchine fotografiche, obiettivi, cavi, zaini, borse, qualunque cosa. Uno di loro, con forte accento romano, chiede aiuto per una didascalia in inglese: «E mo’ come si traduce ciclamino?».

    • Una statua e una targa, tra il re degli arancini Famulari e il traguardo, ricordano Gaetano Martino, ministro degli esteri italiano a metà anni Cinquanta, che riunendo i pari ruolo della CECA fece passare un pezzo della futura Comunità Europea da Messina.
 

Tappa 6 – da Palmi a Scalea

    • Chianalea, il più antico borgo di Scilla, è di una bellezza rara. Le case mi sembrano costruite sugli scogli e una dozzina di scorci verso il Tirreno tolgono il fiato. Non siamo gli unici ad aver pernottato a Scilla e non sono l’unico ad aver intrapreso una passeggiatina per Chianalea, la mattina presto: incrocio Ettore Giovannelli con lo sguardo basso, assopito nei suoi pensieri. Gli dico Ettore sei un grande. Lo incontrerò di nuovo diversi mesi dopo, sull’Alpe d’Huez.

    • Un cartellone appeso a Palmi celebra l’inserimento, avvenuto a Baku, Azerbaigian, il 4 dicembre 2013, della Varia di Palmi nel Patrimonio orale e immateriale dell’umanità dell'UNESCO. Il trasporto della Varia, un carro enorme portato in spalla da circa duecento persone, attrae ogni anno migliaia di spettatori: per il Giro ne ho avvertiti altrettanti.

    • Nel lungo tragitto in macchina fino a Scalea, ho sognato di fermarmi ogni volta che vedevo un cartello “frittura al metro”. Non ci posso credere, esistono posti in cui misurano il pesce fritto in metri e non ci stiamo stanziando qui per almeno due mesi. Fuor di frittura, il grosso peccato del Giro è che in tanti posti vorresti fermarti di più, a tante cose vorresti dedicare più tempo, ma sei obbligato ad andartene, a dire scusate tornerò.

Tappa 7 – da Diamante a Potenza

    • Poco dopo l’inizio della salita di Viggiano, lo striscione gigante “la comunità rurale viggianese saluta gli intrepidi scalatori del Monte Sacro” vince di gran lunga la competizione del miglior cartello di tutto il Giro.

    • Mimmo è uno degli otto produttori del fagiolo di Sarconi: «Pochi ma potremmo essere pure meno. I borlotti al supermercato costano 79 centesimi al chilo, io con quei soldi non ci compro manco il vetro». Fanno tutto a mano, dice mentre gesticola e accende una sigaretta: «La setacciatura, la cernita, lo scarto di quelli caduti. Questo sappiamo fare, quindi questo facciamo. Finché dura va bene così, quando non andrà più bene pianteremo meloni».

    • La Basilicata mi ha sorpreso per quant’è verde e montuosa. C’è pure qualche trivella per il petrolio. L’unica nota negativa è stata il non trovare cibo al bar all’ingresso di Calvello, “paese della ceramica”. Mentre siamo dentro, passano macchine addobbate di rosa che suonano i clacson a festa. Entra il maresciallo, che tutti gli altri avventori del bar salutano. Al passaggio della corsa manca più di un’ora.

Tappa 8 – Napoli

    • Ho sbagliato tutto a Napoli, e non me la sono goduta come avrei potuto. Fuori faceva un caldo infernale, così mi sono chiuso nel Museo Darwin-Dohrn, sede della stampa. Mostri marini sono appesi un po’ ovunque e l’aria condizionata mi ha definitivamente scentrato. Ho perso l’arrivo, a malapena ho visto il mare. Débâcle.

    • Quella sera si dorme a Caianello, in un albergo talmente vecchio che, con le chiavi della camera, ci danno i telecomandi. Mangio due pizze. Giornata strana.
 

Tappa 9 – da Isernia al Blockhaus

    • Una voce ordina un pollo arrosto, trenta arrosticini e venti ali di pollo. «Nebbia in Val Padana!» urla colui che gli arrosticini li sta preparando, aizzando la colonna di fumo che viene dalla brace. Al bar “Hard Rocc” di Roccamorice, a metà salita del Blockhaus, due donne inglesi si vedono portare al tavolo una teglia intera di frittura mista e si guardano sbigottite.

    • Dopo l’arrivo, un tifoso prova ad attirare l’attenzione di Felline, ma dice «Boaro Boaro la borraccia!». Felline si fa indicare dal meccanico come scendere e dove sia il bus, poi al tifoso: «Se indovini il nome ti faccio l’autografo, sennò no». Il tifoso proprio non sa chi sia, però lo ha visto in fuga un sacco di volte. Felline sorride e cede: «Dai, così ti scrivo chi sono veramente. Lo scrivo in stampatello eh, tieni la maglia tirata, ecco, Fel-li-ne, ecco qua».

    • Una scena dal finale meno felice ha sempre come protagonisti un tifoso e un corridore. Quest’altro tifoso è abbastanza ubriaco e, metà in inglese metà in italiano, urla a Simon Yates che «vincerai il Giro! I hope it! Ti manca la terza settimana, ma darai il meglio». «Everyone loves you» dice un altro. Yates non riesce proprio a sorridere, avesse le forze se ne sarebbe già andato. Scuote la testa, ha lo sguardo assente mentre mangia qualche Haribo. È accerchiato da giornalisti e fotografi ed esordisce consapevole del fatto che: «I lost the race».

    • Un signore diversamente sobrio ci offre un bicchiere di rosso a testa. A uno di noi non piace e, bevuto un sorso, getta il resto dal finestrino, lasciando una chiazza sanguinolenta sulla fiancata bianca della nostra auto. Fortunatamente abbiamo scoperto subito che non è difficile togliere l’ombra del vino da una macchina.

 

Tappa 10 – da Pescara a Jesi

    • Una signora coi capelli biondi a caschetto e occhialoni neri ci tiene proprio a fare una foto con Mathieu van der Poel. Appena l’olandese si avvicina, gli afferra il braccio e gli pizzica la guancia. «Che bello che sei Matteo» gli dice tutta sorridente.

    • Ciauscolo e paccasassi in sala stampa a Jesi contribuiscono al miglior buffet di questo Giro, senza ombra di dubbio.

    • In un giorno abbiamo fatto da Pescara a Cesenatico. E Cesenatico vuol dire piadina. Ne prendo una con mozzarella e salsiccia, che secondo un collega era la preferita di Pantani. Non lo sapevo. La salsiccia, mi fa sapere in seguito la cameriera, è finita: mi farò andar bene la porchetta. C’è un passaggio de “L’Avocatt in bicicletta” in cui Eberardo Pavesi/Gianni Brera ironizza sul cibo lussurioso mangiato ogni sera dai “loro Omero”: a ognuno il suo foie gras.

Tappa 11 – da Santarcangelo a Reggio Emilia

    • A quelli di Mutonia non piace troppo che vengano pubblicate foto delle loro sculture fatte con scarti, materiale di risulta, cianfrusaglie. È un parco a cielo aperto pieno di figure mutanti, statue usate per concerti, auto impilate una sull’altra, singole cabine una volta parte di ovovie. È un posto veramente assurdo, tra Santarcangelo di Romagna e la riva sinistra del fiume Marecchia.

    • Un meccanico della DSM non sa bene cosa fare del carrello portapacchi rosso sul quale ha caricato una forma di Parmigiano Reggiano. Pesa una quarantina di chili e chissà dov’è finita, come è finita. Una tappa con forme e misure tutte sue.

Tappa 12 – da Parma a Genova

    • Un ottimo striscione, visto in svariati paesini liguri: «Con il pesto pedali più lesto».

    • A Genova ci viene indicato di parcheggiare in piazza Matteotti. Ormai abbiamo imparato a conoscere il signore – sempre con occhiali da sole, cappellino e fischietto – che ogni giorno indica veloce e chiaro dove metterci. Per la prima volta, in piazza Matteotti ci fa iniziare un parcheggio, poi cambia idea e ne indica un altro. Sembrava stesse giocando a Tetris.

    • I risvoltini ai pantaloni di Bradley Wiggins culminano a Genova: ormai arrivano a metà polpaccio.

    • Dopo l’intervista del giorno prima, scambio nuovamente due parole con Gijs Leemreize, terzo al traguardo. Vorrei ringraziare Beppe, soprannome italiano per l’olandese addetto stampa della Jumbo Visma, per avermi lasciato conversare col suo corridore, ma per il trambusto che c’è sempre all’arrivo non mi ha sentito per tutte le restanti tappe.

Tappa 13 – da Sanremo a Cuneo

    • Il kitchen truck della Bora è gigantesco. Sotto il sole di Sanremo questo camion nero risulta ancor più imponente. Sulla fiancata i corridori sono fotografati mentre fanno cose in cucina: Jai Hindley sta portando un cestino di verdure, Lennard Kämna soffia sulla minestra prima di assaggiarla.

    • Un’altra possibilità che non ho colto: fare la foto con la statua di Mike Bongiorno, che pensavo lontanissima e invece.

    • Cartello che ho capito in seguito: il soprannome di Ormea, “una città d’amore”, ha un duplice significato. Come si legge su ormea punto info, Ormea ha la caratteristica di avere il centro storico a forma di cuore e al tempo stesso è l’anagramma di amore.

Tappa 14 – da Santena a Torino

    • A Santena i volantini rosa per il Giro sono affiancati da quelli per l’89ª sagra dell’asparago. Si possono leggere altre informazioni su asparisagra punto it, è prevista ristorazione al PalAsparago, è raffigurato Cavour (sepolto a Santena) in maglia rosa che porta sulla schiena un mazzo di asparagi grossi quanto lui.

    • Sul menù del locale “Al mulino” di Borgofranco d’Ivrea si legge che «è tutto preparato al momento, magari si aspetta un po’ ma speriamo di piacervi». Cauz sta finendo di montare e mi fa presente un problemino: dopo aver tagliato i file dell’intervista a Romain Combaud, non li ho inviati. Mi faccio quindi una corsa dal tavolo al B&B, trovandomi solo con un mazzo di chiavi davanti a un cancello molto più alto del normale. Si apre con la chiave più piccola di tutte, ovviamente.

Tappa 15 – da Rivarolo Canavese a Cogne

    • In un bar di Rivarolo mi fermo qualche minuto per leggere Gazzetta Matin, un quotidiano locale. Tutti i titoli, anche all’interno del giornale, sono rosa. A pagina 13 c’è un’intervista al «profeta in patria» Paolo Mei, speaker del Giro che viene proprio da Cogne. A pagina 15 viene invece intervistato Franco Vagneur, aostano ed ex commissario tecnico della Nazionale di ciclocross, ma le cose che dice Vagneur sono un po’ tristi. L’ultima domanda è una di quelle con una risposta quasi automatica, facile da preconfezionare: signor Vagneur, scenderà sicuramente a vedere il Giro in strada, no? Sarà una fibrillazione anche stavolta, no? «Lo vedrò, ma l’emozione ora è lontana».

    • Ho puntato le cascate di Lillaz, ma dubito di arrivare fin là. Sono una ventina di minuti oltre la frazione di Cogne in cui arriva la tappa e il tempo stringe. Ciccone è in fuga e non ha più molta compagnia, apprendo dai telefoni delle persone sdraiate sull’erba nel piccolo parco geologico lungo il torrente Urthier.

    • Sul traguardo c’è traffico: subito dopo l’arrivo la strada curva secca verso destra, i media sembrano il doppio rispetto alla Sicilia, tutti sono provati da caldo e incombere della terza settimana. Sobrero è rimasto intruppato nel blocco del traffico: «Cosa c’è la processione qua?».

Tappa 16 – da Salò ad Aprica

    • Durante il giorno di riposo, che ha seguito l’assegnazione dello scudetto, Alessandro Covi ha postato su Instagram un video di lui che pedala con addosso una maglia del Milan, molto larga e svolazzante. Sul traguardo di Aprica gli chiedo come se l’è procurata: «Siamo due milanisti in squadra a questo Giro. La maglia era del mio massaggiatore Enzo Verzelletti: lui l’ha indossata la sera stessa, io l’ho messa il giorno dopo».

    • Al bar “Torre” di Santicolo i locali non si aspettavano certo che a reclamare l’ultima briochina disponibile fosse uno scapestrato uscito di casa in ciabatte nonostante la pioggia. Riccardo, la cui famiglia gestisce il locale dal 1911, mi regala una bottiglia di liquore al carè, che è il modo in cui chiamano il fiore di cumino in questa frazione di Corteno Golgi, in alta Val Camonica. Il carè dà al liquore un gusto del tutto particolare, dice Riccardo, tipo un anice selvaggio. Sul muro della sala principale del bar “Torre” c’è scritto che non importa cercare luoghi nuovi, sono gli occhi che devono essere diversi di viaggio in viaggio.

    • Un video strano in cui io e il fotografo Sean Hardy facciamo da sfondo.

Tappa 17 – da Ponte di Legno a Lavarone

    • Non ricordo quasi nulla della partenza di Ponte di Legno, perché non c’è quasi nulla da ricordare: acqua a catinelle, freddo, corridori che, comprensibilmente, non venivano in zona mista a inumidirsi ancor di più. Ecco, ho scritto l’intervista a Oier Lazkano sotto una tettoia, questo lo ricordo.

    • Fermati al PalaCurling di Cembra, ho preso in mano una stone per capire quanto fosse pesante. È molto pesante.

    • Felix Gall, dopo l’arrivo di una tappa durissima in cui è stato in fuga, afferma che «il ciclismo è come gli scacchi: se vuoi giocare devi avere le gambe, dopodiché devi gestirti, seguire gli attacchi, stare attento perché la mossa decisiva può avvenire in ogni momento».

    • Pubblicità più bella trovata sulle strade del Giro: quella per il Pentathlon del Boscaiolo, svoltosi l’11 giugno in località Pineta di Caldonazzo. Due eventi sono descritti e non saprei quale sia migliore: in Endovina el peso viene messo un rimorchio con tanta legna da ardere su una pesa e chi va più vicino al peso esatto si porta a casa tanti alberi morti; una gara di cambio catena avente come primo premio una nuovissima motosega.

    • Dell’arrivo a Lavarone mi è piaciuta ogni cosa. Messo piede in sala stampa, ho capito che non avrei passato un secondo di più al chiuso. C’è un’atmosfera che non saprei descrivere, un cielo nemmeno terso ma molto migliore di quello sulla partenza, un’aria fresca che mi invita ad arrivare a piedi al Drago Vaia. Raggiungo un tendone del coro di una parrocchia che prepara hot dog a ripetizione: ne prendo uno con crauti e mi aggiro per l’Alpe Cimbra afferrandolo con il tovagliolo.

Tappa 18 – da Borgo Valsugana a Treviso

    • Alvise, guida personale a Treviso, mi mostra la vecchia sede di Pinarello, dov’è allestita una piccola esposizione sulla maglia nera di Giovanni “Nane” Pinarello. E mi fa scoprire i bogoi, lumachine di mare bollite e immerse in olio aglio e prezzemolo.

    • «E mo’ so’ cazzi vostri» scherza Stefano Diciatteo, grande capo della sala stampa, quando riceve un fischietto con cui dirigere il traffico all’arrivo. Diciatteo è affettuosamente chiamato Zio, un soprannome che è arrivato quasi da solo, in modo naturale, dopo 30 Giri d’Italia.

    • Edoardo Affini, dopo un arrivo estenuante, ha la lucidità di scambiare qualche parola in olandese con le televisioni neerlandesi. È scettico sulla crono finale, che non ritiene adatta alle sue caratteristiche, mentre dopo la crono cosa sarà importante per te, Edoardo? «Mangiare, recuperare, brindare e mollare un po’ perché c’è bisogno di rilassarsi».

Tappa 19 – da Marano Lagunare al Santuario di Castelmonte

    • Sul Kolovrat (si pronuncia coloùrat, ci ha detto una giornalista slovena) la prima birra offerta dai tifosi e afferrata mentre si sale in macchina. Finestrino abbassato, presa salda, bidon collé al contrario.

    • Nella meravigliosa strada che, dopo Tarcento, porta verso il GPM di Villanova Grotte e il passo di Tanamea abbiamo scorto due singolari animali finti: una pecora tutta rosa e un orso peluche gigante lasciato in una piazzola a bordo strada con una birra in mano.

    • Sosta pranzo a metà della discesa del Kolovrat, nell’unico punto in cui la strada spiana per qualche metro. Sono stati allestiti tendoni e si griglia, si mangia e si beve. Cauz fa notare il pungente odore, che effettivamente pervade l’aria, di ascella di ciclista, olezzo diverso da qualunque altro tipo di sudore.

    • A proposito. La prima cosa che dice Lorenzo Rota ai suoi meccanici all’arrivo è: «I sweat like a pig».

    • Due cartelloni dominano ogni metro della salita finale: Red Passion per l'eroe locale Alessandro De Marchi e quello dello Schioppettino di Prepotto, un vino rosso col nome di un fucile dell’Ottocento.

Tappa 20 – da Belluno alla Marmolada

    • Due fortissime atlete incontrate tra partenza e arrivo: Stefania Constantini e Marta Cavalli. La prima, bellunese, mentre si aggira nei pressi della partenza. Avrei voluto fermarla per dirle che non mi sono perso una sua partita alle Olimpiadi e che pochi giorni prima, se ci siamo fermati al PalaCurling di Cembra, un po’ è stata colpa sua. Cavalli, invece, stava cercando posto nell’affollatissimo parcheggio di Passo Fedaia, ovvero un campo scosceso nei pressi del lago.

    • Ben Tulett ha le migliori ciglia del Giro e se ne va da ogni intervista salutando con «cheers!».

    • Uno sguardo che non dimenticherò: quello di Pavel Sivakov dopo l’arrivo, quando scopre che il suo capitano, Richard Carapaz, per il quale ha lavorato tanto non solo sulla Marmolada, un minuto e mezzo non lo ha guadagnato, ma lo ha perso da Hindley.

    • Villa Buzzati, a Belluno, è uno dei posti più belli d'Italia. Il suo profilo è stampato su una serie di segnalibri, che la nipote Valentina ci ha ricomposto sotto gli occhi su un tavolo della villa.

Tappa 21 – Verona

    • Mostro a Chris Hamilton un video appena twittato da Nico Denz, suo compagno di squadra, in cui vengono mostrate tante birre al fresco. «Quante ne berrai stasera Chris?» gli domando, e la risposta in forte accento australiano mi spiazza: «How long is a piece of string?». Non conoscevo il modo dire, che equivale sostanzialmente a tante.

    • Oltre ad essere un ciclista fortissimo, Alessandro Covi è un figo. Per il modo in cui si comporta, a metà tra il bonario e il cazzone, e per il modo in cui vive, senza prendersi sul serio. Il taglio di capelli, per esempio, è davvero assurdo e non posso non chiedergli da dove viene: è opera del fotografo della squadra, «particolare dai, come le scarpe» che indossa, una bianca e una nera.

    • Un altro sguardo che non dimenticherò: quello del collega Stephen Farrand, quando gli chiedo chi sia quella persona che tutti vogliono intervistare. Mi guarda un po’ di traverso, con l’aria del Maestro Shifu deluso da Po, allarga leggermente le braccia desolato e dice: «ma Michele, come non lo sai, è Luca Guercilena». Anche Guercilena – giuro – lo incontrerò mesi più tardi sull’Alpe d’Huez. Dove mi offrirà un taco.

    • Alla fine dell’ultima conferenza stampa, alla maglia rosa vengono fatte firmare tante maglie rosa. Jai Hindley manovra il pennarello con la mano sinistra. Esiste un conteggio di vincitori del Giro mancini? Hindley non dovrebbe essere il primo: è il 71° vincitore diverso del Giro e circa il 10% della popolazione mondiale è mancina. Non sapendo assolutamente nulla di loro, suona più mancino Roberto Visentini o Andrew Hampsten? Non penserò ad altro, oggi.

 

Testo di Michele Pelacci
foto di copertina di Tornanti.cc
 

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