A presto, nonno Bidon

Lucien Blyau è morto nel bel mezzo delle Olimpiadi, quando tutti gli occhi del ciclismo erano concentrati su un velodromo dall'altra parte del mondo. Forse non ci sarebbe mai stato bisogno di Lucien in velodromo, dove i tifosi tifano e applaudono seduti a bordo pista, di certo non lo si sarebbe mai visto passare borracce ai velocisti. Ma della sua passione sì, ci sarebbe bisogno sempre e ovunque. È morto a 91 anni, poche settimane dopo il Tour che aveva dovuto saltare per forza per la prima volta in 42 anni. Tutto il gruppo gli aveva reso omaggio prima del Tour, e tutti lo stanno salutando oggi. Nel seguito riportiamo l'omaggio che avevamo voluto rendergli alla vigilia dell'ultima Grande Boucle, certi che la domanda con cui spiegava la sua passione sia ancora più profonda nell'ultimo istante: "Che ci fai coi soldi quando muori?". Lucien Blyau è morto oggi, forse con qualche quattrino meno nel portafoglio, ma con le tasche piene d'amore.

 

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Domani comincia la settimana che porta al Tour, e tutti ci affanneremo nel solito gioco di prevedere il destino, leggere le stelle, scrivere gli oroscopi. Chi farà cosa. Dove vincerà. Chi lo aiuterà. Oggi però il Tour è ancora un progetto, un ricciolo pigro, una matassa aggrovigliata, e allora oggi, prima di spenderci su chi ci sarà, vogliamo parlare di uno che di sicuro a Mont Saint-Michel non ci sarà.

Lucien Blyau ha quasi 91 anni e nelle ultime quarantuno edizioni è sempre partito per il Tour de France. Puntuale come un gregario, lui che era stato professionista per qualche mese ma aveva smesso dopo un infortunio al ginocchio (“oggi te lo curano, ma all’epoca la tua carriera era finita”), non avendola potuta correre aveva deciso di onorare la Grande Boucle a modo suo: ogni anno si schierava alla partenza con il suo camper Ford e il suo carico di borracce e lattine di Coca Cola, e riforniva i corridori lungo le strade. L’organizzazione a un certo punto gli ha concesso un pass speciale per facilitargli i parcheggi. “Prima del Tour svaligiavo il supermercato vicino casa, ne prendevo più che potevo. Spendevo un po’ di soldi, è vero. Ma i ciclisti apprezzavano. E poi che ci fai coi soldi quando muori?”

Quest’anno Lucien non ci sarà, probabilmente non ci sarà mai più. È molto malato, l’età sta facendo il suo corso. Tuttavia mercoledì scorso ha chiesto a Marie-Thérèse, la compagna appassionata di ciclismo che ha conosciuto dopo la morte di sua moglie, di spingergli la sedia a rotelle a bordo strada per salutare ancora una volta il gruppo che correva la Halle-Ingooigem. Si è messo la divisa Collstrop di sempre, perché Lucien teme che se la cambiasse i corridori non lo riconoscerebbero più. “Da tempo non mi sentivo così bene, il sole splendeva, sembrava che tutto fosse disegnato per me”, ha detto.

La passione pura e disinteressata di Lucien Blyau, protagonista in queste ore di ricordi e ringraziamenti sui social e nelle chat, è l’esaltazione dello stesso spirito che anima questa pagina e che spinge il ciclismo oltre il tempo e le criticità. Robbie McEwen, twittando di aver perso il conto delle bibite che gli ha passato nel corso dei suoi dodici Tour de France, ha scelto per Lucien una definizione sintetica e perfetta: leggenda. (L. Piccione)

 

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