Credo che me ne andrò a casa

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

«Non avrei mai immaginato che io, ragazzino cresciuto in Tasmania, sarei stato così fortunato da poter viaggiare per il mondo grazie alla mia bici, correndo in alcune nelle squadre migliori e incontrando tante persone fantastiche lungo la strada. Sono prontissimo a godermi il prossimo capitolo, ma che bella avventura è stata. Come disse Forrest Gump: 'Sono un po' stanchino, credo che me andrò a casa'.»

Così Richie Porte ha confermato via Twitter il suo ritiro dal ciclismo professionistico. Celebriamo la sua bella carriera con il brano a lui dedicato al termine del Tour de France 2020, che concluse al terzo posto. Il pezzo è un estratto dalla nostra raccolta "La speranza che Newton si sbagliasse", disponibile qui

 

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Tra pochi mesi Richie Porte tornerà a fare il gregario. Le prossime due saranno le ultime stagioni della sua carriera da ciclista, e ha deciso di concludere tornando al ruolo che l’ha reso celebre.

Cardine delle vittorie di Wiggins prima e di Froome poi, Porte nel 2021 andrà forse alla Ineos, forse no, quel che è certo è che non lotterà più per la classifica generale di un grande giro. Troppa pressione, troppo stress, troppi giovani che vanno forte, che cambiano ritmo di continuo, che non si fanno alcun problema a rischiare: «Invece io sto diventando vecchio e ho sempre più paura.»

Porte è nato a Launceston, seconda città della Tasmania, e ha cominciato col nuoto, al quale a diciotto anni affiancò corsa a piedi e bicicletta. Soltanto nel 2006 mise da parte il triathlon per dedicarsi alle due ruote: Porte è diventato ciclista alla stessa età in cui Pogačar ha vinto oggi il suo primo Tour de France.

Tre anni dopo era dall’altra parte del mondo. I suoi fratelli lavoravano dalle nove alle cinque tutti i giorni, ma lui voleva provare a guadagnarsi da vivere in modo diverso, pedalando in Europa. Miglior giovane al Giro d’Italia 2011 – 7° in classifica generale dopo aver contribuito alla vittoria di Contador – l’anno dopo firmò per la squadra più forte del mondo. Nei quattro anni alla Sky Porte vinse tre Tour de France, mai in prima persona. Quando provò a mettersi in proprio, al Giro 2015, le cose andarono male, tuttavia vincere crea dipendenza, come dice lui, così nel 2016 Richie Porte decise di puntare tutto su se stesso.

Passò alla BMC, corazzata americana per colui che tutti indicavano come l’erede di Cadel Evans, l’unico in grado di contrastare il dominio di Froome, il più forte corridore al mondo nelle corse di una settimana pronto a dimostrare di esserlo anche al Tour. Dopo un 5° posto nel 2016, il 2017 si preannunciava come il suo anno. Aveva 32 anni, veniva da una prima parte di stagione perfetta. Nella nona tappa della Grande Boucle, lungo la discesa dal Mont du Chat, cadde malamente, fratturandosi clavicola e bacino. Cadde anche l’anno dopo, sullo sterrato, sempre alla nona tappa, che da allora ha preso a contrassegnare la malasorte ciclistica per antonomasia. “La nona tappa di Porte” divenne archetipo di inevitabili disastri, di innata fragilità, di speranze svanite sul più bello, al punto che un anno fa Richie si presentò al Tour con il solo obiettivo di arrivare a Parigi tutto intero. Ce la fece, 11° nella generale.

Poi è venuto il 2020. Il Tour rinviato e poi partito, arrivato sui Campi Elisi stasera contro buona parte dei pronostici. 

Alla partenza, a Nizza, Porte ha 35 anni suonati e la secondogenita in arrivo. Eloise Porte è nata il 4 settembre mentre suo padre, sorpreso da un ventaglio, perdeva un minuto e venti nella tappa di Lavaur. «La nascita di un figlio mette tutto nella giusta prospettiva», dice il capitano della Trek-Segafredo all'arrivo. «E il Tour è solo un gioco».

Un gioco del quale sembra sia definitivamente ai margini, e che invece lo vede rimontare giorno dopo giorno. Lontano dalle attenzioni generali, ma costantemente tra i pochi in grado di tenere il ritmo degli sloveni in salita, Porte riesce a superare brillantemente anche le due occasioni in cui gli spiriti dei Tour passati tornano a visitarlo, sotto forma di forature: appena prima della Côte de la Croix-Rousse, a Lione, e soprattutto a Plateau de Glières, sullo sterrato, dopo il cui traguardo dichiara di considerarsi ufficialmente “una calamita di guai”.

Ieri, al termine della sua miglior prestazione a cronometro degli ultimi anni, Porte ha scalato l’ultimo gradino che lo separava dal terzo posto. Ha detto che si sente sulla luna, che ha realizzato il suo desiderio sportivo più grande, che adesso potrà finalmente appendere in salotto la foto che sognava dai tempi in cui, ragazzo, puntava la sveglia nel cuore delle notti d'inverno australi per guardare il Tour alla tv. .

Eccolo sul podio di Parigi, nel tramonto di una domenica di settembre e della carriera da capitano, alla fine del suo ultimo Tour da leader, questo Tour che è stato thriller dopo mesi senza cinema, commedia in un’epoca di pochi teatri, crescendo in un mondo che brama concerti. Il Tour di Pogačar e Roglič, di Hirschi e Kragh Andersen, di Kwiatkowski e Carapaz, di Ewan, Van Aert e Bennett. Il Tour di un gregario capace di finire tra i primi dieci, lo straordinario Damiano Caruso. Il Tour del vincitore finale più giovane dal 1904 e di una lunga lista di vincitori di tappa nati nell’ultimo quarto di secolo. Il Tour del vecchio che ha passato un foglio di giornale a Pinot in crisi sul Peyresourde e del bambino che applaudiva Higuita mentre saliva in lacrime sull’ammiraglia e, infortunato, si ritirava.

Il Tour di Richie Porte, anche, che racconta che dopotutto il ciclismo è stato gentile con lui, ma che ogni giorno che passa sente crescere il desiderio di una vita normale. Svegliarsi, bere un caffè, accompagnare i bambini a scuola, nuotare di più, magari avere un cane, non preoccuparsi del tempo che fa né di cosa mangiare a pranzo.

Dopo una serie di delusioni, ha colto l’ultima occasione buona per ottenere quel che ha inseguito per anni; quella foto. Non riesce a dire se nel corso della carriera sia riuscito a realizzarsi completamente a livello individuale, se abbia ottenuto il massimo dal proprio talento: questi sono crucci di chi si guarda troppo alle spalle, di chi rimugina su ciò che poteva essere, invece lui sa perfettamente che le cose cambiano, che più il tempo passa meno è saggio pensare a se stessi.

Il Tour de France è finito. Domani forse Pogačar realizzerà la portata della sua impresa; qualcuno gli chiederà se ci si può fidare di lui. A Primoz Roglič passerà un altro po’ di delusione. Richie Porte andrà a conoscere sua figlia, dopodiché, tra qualche mese, comincerà la nuova parte della sua carriera e della sua vita. Dice di aver voglia – come tutti, come noi che chiediamo alle biciclette di darci una mano – di provare a essere felice.

 

Testo: Leonardo Piccione
Foto in copertina: Tornanti.cc

 

 

 

 

 

 

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