[Roubaix 2025] Metà uomo metà bicicletta

In un breve video risalente al luglio del 2014, girato nel retropalco di una tappa del Tour de France, si vede Raymond Poulidor, bonario e colorito come sempre, prendere per un braccio il suo diciannovenne nipotino, campione del mondo in carica nella categoria juniores, e introdurlo a un signore occhialuto di mezza età, che il ragazzo intuisce subito essere una persona importante.
Gli dà la mano, gli dice timidamente «Bonjour». Non sa chi sia. Il nonno allora fa una cosa che fanno i nonni: lo cava d’impaccio. «Costui ha vinto due Parigi-Roubaix!», gli spiega. «Si chiama Duclos-Lassalle».
Il giovanotto sorride ma non dice nulla, nemmeno Duclos-Lassalle dice nulla. Interviene di nuovo Poulidor a chiudere lo scambio a modo suo, con quella che a giudicare dalle risate dei tre protagonisti suonava come poco più che una battuta, ma che a ogni anno che passa assomiglia da vicino a una profezia: «Tu ne vincerai quattro!», oracoleggia rivolgendosi al rampollo.
Soltanto un predestinato della portata di Mathieu van der Poel, benedetto dagli dei del ciclismo e dalle leggi dell’ereditarietà, poteva impedire al glitch del ciclismo di questo secolo che risponde al nome di Tadej Pogačar di vincere la sua prima Parigi-Roubaix al debutto nella Regina delle classiche. Van der Poel c’è riuscito, e riuscendoci ha collezionato il suo terzo successo consecutivo sulle pietre, come soltanto Octave Lapize e Francesco Moser prima di lui.
È il primo ciclista nella storia a mettere a segno la doppietta Milano-Sanremo e Parigi-Roubaix nella stessa stagione per più di una volta in carriera (2023 e 2025), e ha riportato in parità il punteggio della mirabolante contesa che da un lustro vede lui e Pogačar cannibalizzare senza pietà le classiche monumento: il computo questa sera dice otto a testa, otto come la somma delle vittorie ottenute dai quattro ciclisti in attività che seguono i due fenomeni in graduatoria (Degenkolb, Evenepoel, Fuglsang e Kristoff, con due monumento ciascuno).
Vincendo la Parigi-Roubaix 2025, Van der Poel ha anche eguagliato Pogačar in quanto a percentuale di classiche monumento concluse sul podio: 14 volte su 21 il primo, 12 su 18 il secondo.
Nella loro provvisorietà, questi numeri tratteggiano un equilibrio che la gara di oggi ha per lunghi tratti riproposto, consegnando la testa della corsa alla solita coppia già a 45 chilometri dalla fine, quando un aumento di ritmo di Van der Poel e la susseguente risposta di Pogačar hanno provocato la resa di Jasper Philipsen, che di Van der Poel è compagno di squadra e buon amico, ma non al punto da fargli ipotizzare una strategia di gara diversa dall’uno contro uno con Pogačar, uno scenario che Mathieu ha dimostrato altre volte di non temere, e che oggi è sembrato cercare con peculiare convinzione.
In quanto a Mads Pedersen, l’unico degli altri che aveva dato l’impressione di poter reggere l’urto delle accelerazioni ultraterrene dei primi due, era stato fatto fuori poco prima da una foratura.
Là dove al Giro delle Fiandre era intervenuta la superiorità di Pogačar nei valori biologici che in gergo ciclistico si è soliti sintetizzare con "gamba", a sbilanciare lo stato delle cose tra i dominatori è stato oggi un fattore tecnico, uno dei pochissimi fondamentali di questo sport in cui Van der Poel conserva un vantaggio ancora piuttosto netto sul campione del mondo in carica: la guida della bicicletta.
È accaduto lungo il settore di pavé numero 9, quello da Pont-Thibault a Ennevelin, dove, in una curva da affrontare affidandosi più alle arti divinatorie che al manubrio, con l'orizzonte oscurato da due muri di folla e da una motocicletta, Pogačar è finito prima sulla terra, poi sull'erba, e da lì contro i giallissimi teloni pubblicitari usati a mo' di transenne, esibendosi in una strana caduta al rallentatore, così avulsa dalla frenesia e dalla velocità media della corsa. Una caduta innocua per le ossa, non per le sorti della corsa.
Pogačar, come raramente gli capita, ha commesso un errore. Un errore dovuto all’alta velocità, forse all’impostazione della curva, soprattutto a un difetto di reattività e intuito, due qualità innate che tuttavia la familiarità con il pavé – l’esercizio prolungato sulle pietre – fanno maturare. È esattamente questo che rende la Roubaix una corsa avversa agli esordienti.
È questo connubio perfetto di nature e nurture che consente a Mathieu van der Poel di mettere a frutto le sue galattiche capacità di controllo della bicicletta: lui queste strade le "sente" prima ancora di vederle, dunque riesce come nessun altro ad anticipare il destino suo e dei movimenti della bicicletta a cui si affida, o sarebbe meglio dire della bicicletta che a lui sembra affidarsi.
Nei quaranta chilometri conclusivi, il confronto Van der Poel-Pogačar è proseguito a distanza, una distanza che il primo, senza lasciarsi prendere dalla foga di seminare il rivale, ha inizialmente mantenuto intorno ai venti secondi ereditati dall’incidente. Poi, tra Mons-en-Pévèle e Carrefour de l’Arbre, ha lasciato che la disparità di feeling con quelle stradacce facesse il suo corso.
Il distacco di Pogačar cresceva a pari passo con l’estendersi della macchia di sangue sul suo polso sinistro, causata dall’orologio d’ordinanza e da una conduzione della bicicletta evidentemente più problematica di quella di Van der Poel, che, sebbene tra inconsuete smorfie di fatica, continuava a surfare sui cubetti di porfido, dando la sensazione che questa corsa l’avrebbe vinta anche se Pogačar non fosse caduto: che sarebbe stata sufficiente la sua maestria a toglierselo di ruota prima o poi, e a esultare a modo suo nel Velodromo per la terza volta consecutiva – come ha puntualmente fatto.
Mentre uno sollevava la bici al cielo, l’altro entrava in pista con un sorrisetto timido, quasi imbarazzato. E un saluto trattenuto, con la mano che ondeggiava brevemente verso il pubblico. Come a dire: “Eccomi qui, ci sono”. Ma anche un po': “Dove sono?”
Tadej Pogačar ha concluso così la sua prima Parigi-Roubaix, un minuto e diciotto secondi dopo che l'aveva conclusa Mathieu van der Poel. Ma se pensate che lo sloveno non sia in grado di far segnare dei record anche quando viene sconfitto, be', vi sbagliate.
Col secondo posto di oggi, è diventato il nono componente della ristretta cerchia di campioni in grado di piazzarsi sul podio in tutte le classiche monumento (l’ultimo a riuscirci Philippe Gilbert). L’ha fatto a 26 anni e mezzo, in piena parabola ascendente, con davanti a sé il tempo necessario a riscrivere tutto – o quasi – quel che vorrà riscrivere. È anche il secondo di sempre, dopo Sean Kelly nelle stagioni 1983-84, a concludere sul podio cinque classiche monumento consecutive, dalla Liegi-Bastogne-Liegi 2024 alla Parigi-Roubaix 2025.
Intervistato dopo l’arrivo, Van der Poel – Mathieu van der Poel, uno degli individui in grado di governare una bicicletta con più naturalezza, padronanza, facilità e morbidezza nella storia dell’umanità – ha detto di lui: «Non è normale».
Un po’ immalinconisce pensare al futuro di fronte a un così prospero presente ciclistico, ma tant'è. Hanno chiesto a Tadej Pogačar se tornerà un giorno nell’Inferno del nord: «Forse», ha risposto lui. Nessuno nutre invece il minimo dubbio circa il ritorno alla Roubaix di Mathieu van der Poel, il mostro metà uomo e metà bicicletta sedotto dalla vittoria, calamitato dalle pietre, sospinto da una profezia.
Testo: Leonardo Piccione / Filippo Cauz
Foto in copertina: Tornanti.cc