[Roubaix 2024] Le pietre nelle vene

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

Tra le storie collaterali emerse dalla polvere della Parigi-Roubaix 2024, una delle più sfavillanti è quella dei gemelli Van Dijke della Visma, che potrebbero essersi candidati a diventare per le classiche del Nord quello che gli Yates sono da anni per i grandi giri.

Nativi di Goes, Zelanda, Tim e Mick van Dijke sono uguali in tutto e per tutto tranne che per il taglio di capelli (Mick ha più riccioli) e vengono tuttora confusi molto spesso, al punto che - raccontano - il secondo nome di Tim è Mick, e il secondo nome di Mick è Tim.

Hanno 24 anni e sono cresciuti entrambi nella Visma, squadra con cui sono passati al professionismo rispettivamente nel 2021 (Mick) e nel 2022 (Tim). Avevano già corso la Parigi-Roubaix, ma da gregari e in stagioni diverse: Mick due anni fa (104°), Tim l’anno scorso (43°). Ieri, per la prima volta in carriera, erano tutti e due insieme al via della loro corsa dei loro sogni. E, complice l’ecatombe di capitani (Van Aert, Jorgenson e Van Baarle non partiti; Laporte subito fuori dai giochi), hanno provato a correrla da protagonisti, riuscendoci.

Mick componeva (insieme a Van der Poel, Philipsen e Pedersen) il super quartetto che si è brevemente avvantaggiato ad Arenberg; poi ha forato ed è caduto. Tim è emerso nel finale di gara, piazzandosi ottavo a Roubaix, prima di essere declassato in 16a posizione per manovra non consentita in volata.

L’essere giunto poco alle spalle dei migliori ha consentito a Tim di assistere, un minuto e mezzo dopo la sua, all’entrata nel velodromo del fratello Mick, che ha chiuso 19°. «Vederlo arrivare è stato emozionante, irreale», ha detto. «Sono orgoglioso di quel che abbiamo fatto, ce lo ricorderemo per tutta la vita».

Il gruppetto di Tim van Dijke comprendeva tra gli altri anche John Degenkolb, classificatosi 11°. Trentacinque anni suonati, tredici Roubaix corse e una vinta, il tedesco è probabilmente il più viscerale amante della Regina delle classiche in attività. Come spesso gli capita, è stato sfortunato (foratura nella Foresta); e come spesso gli capita, all’arrivo non è riuscito a trattenere le emozioni, lasciandosi andare a un pianto liberatorio tra le braccia di sua madre.

«Le ho chiesto se dovessi essere felice o deluso per la mia prestazione. Lei mi ha detto che dovrei essere felice, e lo sono», ha dichiarato. «Questa corsa mi scorre nelle vene. Non so dire perché, ma io sono fatto per la Roubaix, per me è la cosa più importante che esista. Vale tutti i sacrifici che faccio per questo sport, tutti i sacrifici che la mia famiglia fa per questo sport. Essere qui e far parte di questo pezzo di tradizione ciclistica è semplicemente fantastico.»

Troppo presto per stabilire se questa sfrenata predilezione per i ciottoli nordici definirà anche il prosieguo della carriera dell’australiano Cyrus Monk della Q36.5, 27 anni, alla prima Roubaix della vita. Appassionato di musica e divulgazione scientifica, nelle (non troppe) occasioni in cui viene inquadrato in tv si distingue per il suo biondissimo mullet, uno dei più riconoscibili tra i diversi ormai sfoggiati in gruppo.

Nove giorni fa, al Giro delle Fiandre, era rimasto tutto solo già al primo passaggio sull’Oude Kwaremont: tutto solo dietro a tutti, s’intende, attardato da un cambio di bici atteso per troppi minuti. Dopo il Koppenberg, s’era ritirato per il troppo freddo. Ieri ha forato nel primo settore di pavé, è rientrato in gruppo, ha forato per due volte nella foresta di Arenberg, non è rientrato più. Ha fatto il suo ingresso nel velodromo per ultimo, 48 minuti e 18 secondi dopo Mathieu van der Poel, ampiamente fuori tempo massimo. Ma è arrivato.

«Credo che la Parigi-Roubaix sia un po’ come gli Hunger Games», ha raccontato. «Da casa, tutti vogliono vederci soffrire. Ogni settore è come un colpo di cannone che parte e uccide qualcuno. Io sono stato ucciso nel primo settore, dopo ci sono stati altri 28 settori di inferno».

 

Testo: Leonardo Piccione
Foto: Francesco Rachello / Tornanti.cc