[Roubaix2024] Guarda le mie mani

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    Seduto su un ramo a riflettere sull'esistenza. Cofondatore di Bidon, durante una pausa si è laureato in statistica. Fonti di ispirazione: le biciclette, l’Islanda, i pub di Oxford e Cristobal Jorquera.

Forse è per via della sovrapposizione di date. Oppure per il portato religioso che il ciclismo conserva, soprattutto in chi ha ricevuto un'educazione cattolica.

Fatto che sta che l’incredibile fotografia delle mani di Mathieu van der Poel diffusa dopo la Parigi-Roubaix di domenica scorsa – mani immacolate, lisce, senza la più lontana ombra dell’aureola di calli, escoriazioni e vesciche assortite che infiorava quelle della totalità dei suoi colleghi mangiatori di pietre, dai più umili ai più illustri – questa foto, dicevo, a me ha fatto immediatamente pensare a un episodio del vangelo di Giovanni. 

Sono passati otto giorni dalla Pasqua, i discepoli sono riuniti a porte chiuse nel cenacolo e a un certo punto Gesù viene per la seconda volta in mezzo a loro. «Pace a voi!», dice. Tra i discepoli c’è Tommaso, proverbialmente dubbioso, che avendo mancato la prima apparizione del Maestro risorto ha avvertito i sodali che solo se vedrà nelle sue mani il segno dei chiodi crederà. 

Gesù, per questo, si rivolge direttamente a lui: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Di fronte all’evidenza, Tommaso si abbandona al suo celeberrimo atto di fede: «Mio Signore e mio Dio!».

C’è qualcosa di parimenti mistico nell’immagine delle mani di Van der Poel che ha cominciato a circolare ieri, esattamente otto giorni dopo Pasqua. Al di sotto dei suoi palmi illesi, tanto per cominciare, si intravede a reggerli una terza mano, la destra del Tommaso (nel caso specifico di Roxanne Bertels, la compagna di Van der Poel) che con la sinistra ha scattato la foto.

Del vincitore della Roubaix (l'Inferno del Nord, non a caso) non si scorgono invece ulteriori dettagli, se non il chiarore sfumato degli abiti che indossa, e che richiama il drappeggio bianco che tradizionalmente riveste il corpo risorto di Gesù.

Le mani del campione sono ravvicinate, disposte leggermente a coppa, proprio come in miriadi di immagini sacre ispirate all’episodio evangelico. L’unica grande differenza è che non ci sono segni di ferite nei palmi del ciclista. A differenza di Gesù – e di Pidcock, Asgreen, Abrahamsen e decine di colleghi e colleghe emersi dai meandri della Regina delle classiche con brandelli di pelle abrasa o penzolante – le estremità di Van der Poel non presentano stimmate.

Che conclusione dovremmo trarne? Il Van der Poel immortalato il giorno dopo una delle prestazioni più dominanti di questi anni è forse un impostore, un sostituto del vero Mathieu che ha pedalato a quasi 48 all’ora di media lungo 29 settori di pavé sconnesso?

Dovremmo anche noi, come Tommaso, pretendere di vedere e toccare i segni sanguinolenti che non può non lasciare la via crucis della Roubaix, per poter credere che il ragazzone galoppante sulle pietre domenica e quello intonso che lunedì si rilassava giocando a golf siano davvero la medesima, reale persona?

La stessa autrice della foto ha avanzato dubbi in merito, d'altra parte, accompagnando lo scatto con un eloquente quesito: «Are you even human, Mathieu?». Sei umano? 

Le spiegazioni per l’assenza di segni da fatica sulle mani di Van der Poel si sono succedute, nelle ultime 24 ore. Contemplano la scelta del fenomeno olandese di correre senza guantini e il suo essere nativo del ciclocross, e culminano nella sua capacità innata di condurre qualsivoglia mezzo a pedali, che gli permette una morbidezza di gesti che a tutti gli altri è preclusa. Ma sono argomentazioni che faticano a soddisfarci del tutto.

Più di una volta negli ultimi anni, e già almeno tre-quattro volte in questa stagione, in assenza di superlativi di fronte alle imprese sottoposteci ci siamo risolti a chiamare in causa la presunta divinità dei grandi protagonisti del ciclismo moderno. In un bel commento sul "Corriere della Sera", Aldo Grasso ha scritto del loro «distacco», del loro allontanarsi dell’esperienza quotidiana per percepirne l’essenza.

La foto dei palmi delle mani di Van der Poel dopo la Parigi-Roubaix più veloce della storia è allora un plastico promemoria della diversità dei campionissimi, della loro alterità fisica non solo nei confronti di noi che osserviamo ma anche rispetto a chi fa il loro stesso mestiere. 

Quello che succede nelle menti dei fuoriclasse, il processo psicologico che li spinge a superare costantemente se stessi e la loro soglia della fatica, è destinato a rimanere un mistero insondabile per noi. Il ciclismo però ha la peculiarità di spiegarci con cruda eloquenza che cosa succede (o non succede) alla loro carne, a quelle fibre apparentemente così difformi dalle nostre.

Come la religione predominante nelle culture in cui storicamente è fiorito, il ciclismo è una questione di corpi: del loro annientamento, della loro supposta risurrezione. 

 

Testo: Leonardo Piccione

Foto: Paris-Roubaix / Roxanne Bertels

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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