[Sanremo 2023] Un divano extra-large

Dietro il podio della Milano-Sanremo han piazzato un divano. Un divano in pelle o finta pelle, nero, non particolarmente bello, stretto (non foss’altro per via delle dimensioni dei tre occupanti, uno e novanta o poco meno di altezza media).

Le inquadrature dei retropodi del ciclismo ci avevano abituato a una sola seduta, al “posto caldo” riservato ai leader delle cronometro in attesa. Oggi invece ci viene mostrato un divano intero. Forse è un altro segno del ciclismo che cambia, che evolve finanche nei dettagli della più immutabile delle sue corse.

Ma poco importa se si sostituiscono gli scranni e si sposta la partenza (quest’anno ad Abbiategrasso): la Sanremo resta una picchiata verso il mare, ed è nel mare che trova la sua essenza, tra il vento che soffia più o meno gentile, i surfisti in muta, le bianche distese di barche ancorate nei porticcioli. Di fianco, e davanti ai divani dei salotti di ogni ciclofilo, transita la corsa. Nei suoi elementi costitutivi è sempre la stessa corsa.

Le chiamiamo monumenti proprio per questo: per la loro immutabilità, per il loro ergersi come grandi statue nel viavai delle piazze, come fari tra i marosi, riferimenti fissi in un mondo che sfugge. Il ciclismo cambia e i monumenti del ciclismo restano gli stessi, passa da loro l'ambizione all'eternità di questo sport.

Adesso prendi quel divano e fai qualche passo indietro. La città, la pianura, la campagna. Il Turchino, Savona, il mare. La Sanremo è una corsa-mondo in cui la presenza via via più ingombrante della Riviera fa venire in mente un passatempo da spiaggia. Più di tutte le altre corse, questa fa pensare a una gara di biglie lanciate compatte verso l’ostacolo – un curvone, un ponticello, un tunnel di sabbia – piazzato in quel determinato punto della pista con il preciso scopo di stabilire una gerarchia, provocando l’emergere per lo più casuale di una biglia battistrada e di un certo numero di biglie inseguitrici.

La liturgia della Classicissima di Primavera prevede che tale dirimente ostacolo sia una collinetta, un trampolino a prima vista innocuo. Il Poggio di Sanremo è la strettoia, il setaccio, l’imbuto fuori dal quale i capricciosi sceneggiatori di questa corsa sputano infine le loro biglie preferite, seguendo un’imperscrutabile logica che quasi mai premia il favorito della vigilia, che da più di un ventennio impedisce a chicchessia di imporsi per due volte consecutive e che nelle ultime sedici edizioni ha proposto sedici vincitori diversi.

A differenza delle gare di biglie, tuttavia, c’è poco di randomico nel meccanismo con cui la Milano-Sanremo estrae annualmente il suo campione rappresentativo dal sacchetto di biglie multicolori che, tutte con giustificate ambizioni, puntano al successo: i quattro che – complice un buco provocato ad arte da Matteo Trentin a metà salita – affiorano in cima al Poggio questo sabato sono quattro quinti della nobiltà del ciclismo contemporaneo. Non solo il ciclismo su strada: Tadej Pogačar, Mathieu van der Poel, Filippo Ganna e Wout van Aert sono, detto altrimenti, i quattro uomini complessivamente più forti in sella a un biciclo attualmente in vita in questo sobborgo della Via Lattea, un concentrato di sangue blu che non potrebbe esistere in nessuna altra giornata del calendario.

Sull’asfalto, in mezzo al fango, sui listelli dei velodromi, in salita, in discesa, contro il tempo. Tour de France, cronometro, classiche, inseguimenti, ciclocross. Biglia bianca, biglia blu, biglia rossa e biglia gialla.

C'è Pogačar che attacca, cercando di finalizzare un lavoro di squadra dalla precisione meccanica, perché viviamo in un'epoca con poche certezze, ma una è che la corsa esplode quando Pogačar attacca. C'è Ganna che lo segue, gigantesco e leggiadro, perché viviamo in un'epoca con poche certezze ma un’altra è che Ganna è per antonomasia, e sempre più costantemente, gigantesco e leggiadro. E ci sono Wout van Aert e Mathieu van der Poel che rispondono, perché viviamo in un'epoca con poche certezze ma la terza è che Van Aert e Van der Poel ci sono, sempre.

E poi c'è un cartello che indica la località Poggio, e Van der Poel che non appena lo vede riparte. Ha corso la Sanremo ogni volta che ha potuto, da quando è professionista: per prendere nota di come si fa, calcolare le misure e farsele entrare in quella testa su cui, sei minuti e quindici secondi più tardi, mentre taglia il traguardo, appoggia entrambe le mani. Sessantadue anni dopo suo nonno e qualche secondo dopo essersi tirato su la zip, urla Yeee e rotea un pugno nell'aria salmastra, sfoderando il sorriso più limpido del mondo.

È una questione di testa, la Sanremo. Una questione di sangue. Una questione di gambe. E alla fine c'è un divano per riposarsi, chiacchierare, riflettere. Perché per contenere tutto il ciclismo di oggi non basta un sedile solo: sul divano della Milano-Sanremo 2023 si accomodano tre individui le cui sole maglie iridate (tredici, escludendo le categorie giovanili) potrebbero rinnovare il guardaroba della più numerosa delle famiglie.

Ma dovrebbero accomodarsi tanti altri su quel divano, chi è sfinito per aver pedalato 300 chilometri e chi dal divano non si è mosso per osservarli. Un divano extra-large, lungo come questa corsa e la sua storia, che intreccia l'esaltazione dei nobili e la fatica della plebe, offrendo da 114 edizioni a tutti lo stesso epilogo: stanchi e soddisfatti a guardare il mare.

 

Testo: Filippo Cauz / Leonardo Piccione
Foto: Tornanti.cc

 

 

 

 

 

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