[TdF2022] Giubilo da tutti i pois
Ha detto Magnus Cort che il suono dei tifosi danesi è un ruggito. Poi ci ha pensato meglio e ha cambiato ambito sensoriale: è uno schiaffo in faccia. Si sentono sulla pelle quegli ululati che interpellano, quei vocalizzi che benedicono, quei battimani che scandiscono, il giovane Louvel dell’Arkea si è spinto a dire che al termine della tappa gli facevano più male le orecchie che le gambe.
Di Matis Louvel parleremo però un’altra volta (è del ’99, non mancherà di fornircene l’occasione): adesso concediamoci di parlare un po’ di più di Cort. Avremmo voglia di parlare a lungo di Cort, e non solo per dar seguito a un gioco di parole di piccolo cabotaggio.
Parleremmo a lungo di Cort perché Cort è un essere umano felice, e di poche cose c’è urgenza più che di esseri umani felici. Cort si presenta giocondo di solito, ma in questi giorni danesi ha dato l’impressione di essere gaudente come nessun altro al mondo; ha sprizzato giubilo da tutti i pois, facendoci supporre che forse non è mai esistito su questo pianeta un bipede più felice di lui.
Re della montagna in un paese senza uno straccio di collina, attacca al chilometro zero e comincia a distribuire dolciumi ai suoi connazionali, sudditi volontari e plaudenti, sotto forma di pollici alti, saluti a mano aperta, simboli di vittoria, pugni roteanti nell’aria e altre trovate pescate da un repertorio di teatralità che spazia da certe mini trasgressioni da rockstar a una solennità quasi cardinalizia, lui che dichiara che di solito si vergogna a prendere parola in un’assemblea di trenta persone.
Potere del Tour, potere delle strade di casa, potere - forse - di quei baffi che rifinisce una volta a settimana, rigorosamente con le forbici, e per i quali dice di non avere una chiara ispirazione.
Testo: Leonardo Piccione