[Fiandre 2025] Bollicine

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    Scalatore da bancone, pistard da divano. Ama il rumore, i bratwurst, dormire e leggere seduto sul water. Ha visto il volto di Dio in tre occasioni: una volta era Joey Baron, le altre due Laurent Jalabert.

In condizioni di riposo, per esempio all'interno di una bottiglia di birra tenuta ferma, tra l'anidride carbonica contenuta nel liquido e quella presente in forma gassosa sotto al tappo si viene a creare un equilibrio. Nel momento in cui la bottiglia viene agitata, però, il sistema si carica di energia cinetica e l'anidride carbonica dissolta nel liquido vince la pressione a cui è sottoposta dall’alto, azzerando l’equilibrio.

Per ristabilirlo è necessaria la quiete, altrimenti si ha come risultato il fenomeno che chiunque conosce per esperienza personale: il botto del tappo, la copiosa fuoriuscita di schiuma, la "doccia" amata dai vincitori di corse ciclistiche e non quando stappano lo spumante sul podio.

Il Giro delle Fiandre maschile del 2025, terminato al solito con bottiglie spumeggianti, si potrebbe osservare dal medesimo punto di vista, ovverosia lo scontro tra entropia e omeostasi. È questa la condizione fisica che ha generato una delle classiche monumento più avvincenti degli ultimi tempi, non diversamente da quella che l’aveva preceduta e da quella che la seguirà.

La causa è sempre la stessa, perché sempre le stesse sono le mani che agitano la bottiglia: prima quelle di Tadej Pogačar, poi quelle di Mathieu van der Poel. E non solo le loro, questo pomeriggio, perché in molti si sono lasciati ispirare dal buon esempio, con l’esito di una marea di ditate sul vetro.

Una lotta tra tanti, ma anche una sfida contro la sorte, perché la sorte non è certo straniera nelle Fiandre. Vive nei bar dove la corsa si aspetta e si commenta, quelli da cui un tempo la corsa partiva, con i ciclisti che si cambiavano al caldo tra gli avventori già alle prime birre, e con loro si litigavano la coda per il bagno. Dai bar la sorte esce e sciama nelle strade, tende tranelli o regala opportunità.

La sorte albergava oggi pochi chilometri prima dell'Eikenberg, la collina delle querce, dove una caduta apparentemente innocua ha trascinato per terra Van der Poel e tagliato fuori dalla corsa metà dei gregari di Pogačar: Jhonatan Narváez, Tim Wellens e, per un bel pezzo, Florian Vermeersch.

Quando dal Molenberg, la collina del mulino, è uscito prima un quartetto e poi un altro, presto sommatisi in ottetto, con nomi importanti come Stefan Küng, Tiesj Benoot, Filippo Ganna e Matteo Trentin, sembrava quasi che la sorte volesse stare dalla parte della sua stretta parente audacia, regalando un ostacolo all'altrui inseguimento e un premio al tempismo di chi aveva provato a scombinare i piani e che fino alla fine ha provato a resistere, per non volatilizzarsi come bollicine nel momento che tutti sapevano sarebbe arrivato: quello scelto dai due principali agitatori di bottiglie del ciclismo contemporaneo.

Ci hanno provato e riprovato, i rivali dei due grandi acchiappaclassiche. Hanno provato a giocare d'anticipo o di risposta, hanno provato a collaborare o a sottrarsi, ma più provavano a ribaltare l'esito di un equilibrio inesistente, più quelle quattro manone shakeravano il destino. A contarli, gli attacchi di Tadej Pogačar, c'è da ubriacarsi.

Il primo scatto è arrivato al secondo passaggio sull'Oude Kwaremont. Subito dopo ha replicato sul Paterberg e ancora sul successivo Koppenberg. E ancora in pianura, sul pavé di Mariaborrestraat e poco oltre, prima di affrontare Steenbeekdries, allungando sotto due alberi adorni di fiori bianchi che decoravano un restringimento di carreggiata per rallentare il traffico (missione fallita: è stato il Fiandre dalla media più alta di sempre).

In una fase di corsa simile a un’esondazione di schiuma, il campione del mondo ha attaccato un'altra volta sul Taaienberg e di nuovo sull'Oude Kruisberg. A ognuna di queste eruzioni di Pogačar è seguita l'ombra di Mathieu van der Poel, colpo su colpo; dietro di loro sempre un rallentamento e sempre una ricomposizione con gli ultimi rimasti in grado di reagire: Mads Pedersen, Wout van Aert, Jasper Stuyven, tenacemente fedeli a un'idea di corsa ancora possibile, mettendoci cuore, orgoglio, spirito di rivalsa, talvolta anche un po' di incoscienza, là dove non riuscivano ad arrivare le gambe.

Infine è arrivato di nuovo l'Oude Kwaremont, ancora una volta.

All’esplosione numero otto di Pogačar, quando ormai mancavano poco meno di venti chilometri al traguardo, questo gorgogliante Giro delle Fiandre ha mostrato una volta di più che l’equilibrio del ciclismo di questi anni è destinato a soccombere al disequilibrio generato da un fenomeno che spesso, pressoché sempre, riesce a esercitare una pressione talmente schiacciante sul destino delle corse da raggiungere il punto di rottura.

La resa di Van der Poel sull'Oude Kwaremont, prima lenta e poi rapidissima, è stata come l’ultimo sbuffo di quelle bollicine che riescono ancora a evadere ma senza più riuscire a sprizzare, scorrendo languidamente sul collo della bottiglia.

Poco dopo aver tagliato il traguardo, Pogačar è stato circondato da massaggiatori, direttori sportivi e addetti stampa della squadra. Apparentemente già risollevato dallo sforzo, ha scambiato sorrisi e cenni di giubilo con chi gli stava attorno. Poi ha aperto una bottiglietta d'acqua per berne un lungo sorso. Non ne è uscita alcuna bollicina.

 

 

Testo: Filippo Cauz
Foto in copertina: Tornanti.cc

 

 

 

 

 

 

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