Tadej Pogačar ha vinto il Giro delle Fiandre ed è certo che a quest’ora della sera sappiate già che si tratta del terzo corridore nella storia in grado di trionfare al Ronde oltre ad aver conquistato in carriera almeno un Tour de France.

Dietro il podio della Milano-Sanremo han piazzato un divano. Un divano in pelle o finta pelle, nero, non particolarmente bello, stretto (non foss’altro per via delle dimensioni dei tre occupanti, uno e novanta o poco meno di altezza media).

Le inquadrature dei retropodi del ciclismo ci avevano abituato a una sola seduta, al “posto caldo” riservato ai leader delle cronometro in attesa. Oggi invece ci viene mostrato un divano intero. Forse è un altro segno del ciclismo che cambia, che evolve finanche nei dettagli della più immutabile delle sue corse.

Il cielo sopra Hoogerheide è azzurro, terso, inaspettato, persino sgradito. Chiunque avrebbe preferito un consono grigio, un po' di pioggia a rimestare il terreno di un percorso fin troppo veloce. Chiunque tranne chi sta sotto a quel cielo, e, tra una gara e l'altra, alza il naso per sincerarsi che sia ancora azzurro e ancora lassù, tagliato da scie di aerei che promettono destinazioni distanti, viaggi, sogni.

Sfogliando il romanzo del ciclismo si fa spesso sosta sulle gesta di uomini che furono autori di imprese radiose, talune uniche nella storia, finendo inevitabilmente per entrare nell’Olimpo dei leggendari. 

«Oggi è stata una delle giornate più intense della mia vita. Stamattina alle dieci e mezza non volevo neanche partire. Non lo volevo fare questo inseguimento, volevo finire la stagione e andare in vacanza. Poi sono arrivati i miei compagni a incitarmi. A dirmi che avrei dovuto provarci. Devo dire grazie a loro, che ci hanno creduto e mi hanno fatto credere in me stesso. Grazie anche al pubblico, che mi ha supportato quando ho capito che avrei potuto battere il record del mondo. Sono rimasto calmo, ho respirato bene, ho fatto quello che so fare. Sì, è stata una settimana straordinaria.

Le megattere fanno parte della mia vita da circa sei anni, da quando cioè ho eletto a mia seconda casa il ridente villaggio di Húsavík, Islanda nordorientale. Prima che la sua celebrità intercontinentale fosse accresciuta due anni fa da una commedia con Will Ferrell, Húsavík era presentata dalle guide semplicemente come la “Capitale europea del whale watching”.

Oggi a Wollongong le comunicazioni passano per mezzi semplici. Non ci sono le radioline in corsa, così si ricorre al passaparola. Dalle ammiraglie alla lavagnette fino alla luce del faro. E alla comunicazione finale di Remco Evenepoel: silenzio.

Annemiek van Vleuten non era partita per vincere a Wollongong 2022, ma quando si è ritrovata lì davanti, lottando con un dolore al gomito che lei stessa ha definito "infernale", lo spettro luminoso del cielo australe ha combinato un nuovo scherzo, disegnando un vivace arcobaleno. E oltre l'arcobaleno, si sa, accade l'impossibile.

«Non avrei mai immaginato che io, ragazzino cresciuto in Tasmania, sarei stato così fortunato da poter viaggiare per il mondo grazie alla mia bici, correndo in alcune nelle squadre migliori e incontrando tante persone fantastiche lungo la strada. Sono prontissimo a godermi il prossimo capitolo, ma che bella avventura è stata. Come disse Forrest Gump: 'Sono un po' stanchino, credo che me andrò a casa'.»

Guardandoli così, nel raffazzonato tentativo di riepilogo che è ogni fotografia, si fa una certa fatica a credere che i tre protagonisti siano colleghi, concorrenti della stessa gara che sta per concludersi.

Alejandro Valverde, proteso verso il giovane desideroso d’ossequio, di Remco Evenepoel potrebbe benissimo essere il padre: quando Remco nacque, il 25 gennaio 2000, lui era già da un pezzo ‘El Embatido’, prossimo a un salto nel professionismo che avrebbe compiuto appena due anni dopo.

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